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PORTA UN LIBRO CON TE & 30 SETTIMANE....DI LIBRI #25...due rubriche in una!!! PRATOLINI E LE RAGAZZE DI SANFREDIANO

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...La costanza: qualità fondamentale dei blogger di successo! 
 

PREMESSA...
 Dialogo tra...
 Blogger di successo: “Ho un blog che fa 1,5 milioni di pageviews al mese”.
Blogger meno esperta: “Mi spaventano questi numeri. Non ce la farò mai. Quasi quasi lascio perdere”.
Blogger di successo: “La risposta giusta invece è: adesso vado subito a scrivere un paio di post!


In effetti, chi cura un un blog deve essere un perseverante, uno che non molla mai per  raggiungere il proprio obiettivo! La costanza deve essere una delle sue armi più micidiali. Inoltre deve proporrecontenuti di qualità e esercitare   tantissima perseveranza
Credo infatti che, come  per qualsiasi àmbito della vita,  chi ha successo sia una persona che ha avuto una buona idea, ma che soprattutto ha avuto la costanza di crederci fino in fondo
Non a caso, Thomas Edison ha affermato: “Il genio è per l’1% ispirazione e per il 99% traspirazione”. 

...ALLORA AL LAVORO..ED OGGI BEN DUE RUBRICHE IN UNA

PORTA UN LIBRO CON TE   &  
#30 SETTIMANE....DI LIBRI #25

Il tempo che si spende a girovagare nei mercatini dell'usato offre sempre la possibilità di scoprire qualcosa di nuovo o di recuperare dalla scatola della memoria ricordi abbandonati.
E così ho ritrovato LE RAGAZZE DI SANFREDIANO di Vasco Pratolini,  un romanzo letto nel periodo universitario e ripreso poi, ridotto, per un Laboratorio di Lettura  interdisciplinare: le regioni italiane, vita di quartiere, i sentimenti.

 Le ragazze di Sanfrediano, Vasco Pratolini - Incipit


Il rione di Sanfrediano è “di là d’Arno”, è quel grosso mucchio di case tra la riva sinistra del fiume, la Chiesa del Carmine e le pendici di Bellosguardo; dall’alto, simili a contrafforti, lo circondano Palazzo Pitti e i bastioni medicei; l’Arno vi scorre nel suo letto più disteso, vi trova la curva dolce, ampia e meravigliosa che lambisce le Cascine. Quanto v’è di perfetto, in una civiltà diventata essa stessa natura, l’immobilità terribile e affascinante del sorriso di Dio, avvolge Sanfrediano, e lo esalta. Ma non tutto è oro ciò che riluce.” 
L'edizione Mondadori che ho ritrovato al Mercatino del Libro dell' usato
BORGO SANFREDIANO
Il mondo del quartiere, la rappresentazione corale della vita di un rione popolare di Firenze: il libro di Pratolini è una favola moderna dalla struttura antica, che si richiama alla novella boccaccesca, dove il vero protagonista è proprio lui, il quartiere di Sanfrediano. Qui le ragazze spasimano e si dannano tutte per lo stesso dongiovanni, “Bob” (dalla sua somiglianza con Robert Taylor), ma quando una delle innamorate gabbate, la Tosca, scopre il doppio gioco del ragazzo, decide di organizzare una beffa destinata a dargli una lezione una volta per tutte. Con un ritmo narrativo agile e brioso e un lessico ispirato al vernacolo fiorentino, Vasco Pratolini accompagna il lettore in una vicenda ricca di ironia, dove il contrappasso e la farsa scandiscono le storie dei protagonisti.
 Sanfrediano, per contrasto, è il quartiere più malsano della città; nel cuore delle sue strade, popolate come formicai, si trovano il Deposito Centrale delle Immondizie, Il Dormitorio Pubblico, le Caserme. Gran parte dei suoi fondaci ospitano i raccoglitori di stracci, e coloro che cuociono le interiora dei bovini per farne commercio, assieme al brodo che ne ricavano. E che è gustoso, tuttavia, i sanfredianini lo disprezzano ma se ne nutrano, lo acquistano a fiaschi.Le case sono antiche per le loro pietre, e più per il loro squallore; formano, l'una a ridosso dell'altra, un immenso isolato, qua e là interrotto dall'apertura delle strade, con gli improvvisi, incredibili respiri del lungofiume e delle piazze, vaste ed ariose queste, come campi d'arme, come recessi armoniosamente estesi. Ci pensa l'allegro, rissoso clamore della sua gente, ad animarli: dal rivendugliolo e stracciaiolo, all'operaio delle non lontane officine, all'impiegato d'ordine, all'artigiano marmista, orefice, pellettiere le cui donne hanno anch'esse, nella più parte, un mestiere. Sanfrediano è la piccola repubblica delle lavoranti a domicilio: sono trecciaiole, pantalonaie, stiratrici, impagliatrici che dalla loro fatica, sottratta alle cure della casa, ricavano ciò che esse chiamano il minimo superfluo di cui necessita una famiglia, quasi sempre numerosa, alla quale il lavoro dell'uomo apporta, quando c'è, il solo pane e companatico. 
 Se visitiamo oggi San Fredianovediamo le “antiche pietre”, i vicoli che sfociano sul lungo fiume, le piazze, i bei  giardini ora inaccessibili perché privati, qualche mercatino, ma poco è rimasto del ricco  tessuto di lavoratori “in proprio” descritto nel romanzo. Non  più straccivendoli, trippai - preparatori di trippa, le lavoranti a domicilio ( trecciaiole, pantalonaie, stiratrici, impagliatrici ...scomparse da tempo)
 
«Il rione di Sanfrediano è “di là d’Arno”, è quel grosso mucchio di case tra la riva sinistra del fiume, la Chiesa del Carmine e le pendici di Bellosguardo; dall’alto, simili a contrafforti, lo circondano Palazzo Pitti e i bastioni medicei; l’Arno vi scorre nel suo letto più disteso, vi trova la curva dolce, ampia e meravigliosa che lambisce le Cascine».
PORTA SAN FREDIANO
E le Cascine sono anche il luogo della vendetta delle  Ragazze di Sanfrediano contro il bel Bob, che viene scoperto con la complicità di Tosca in una delle sue imprese da farfallone e va incontro ad una disfatta che lo ridimensiona.

PRATOLINI
QUELLA NOTTE...

«Erano le nove della sera, il silenzio tutt’attorno, animato dal lieve fruscio del fogliame, e lontanissima la voce della città, che si spengeva sul brontolio del fiume, un’eco appena, alle loro spalle, accresceva la suggestione... Ora, davanti a loro, c’era il breve spiazzo al di là del quale stava il Prato Grande recinto dall’Albereta». 

È al Tempietto che le ragazze infuriate circondano Bob, ne scoprono una pochezza fisica, oggetto di scherno: il rientro in carrozza in Sanfrediano segna la fine del rubacuori, non più emulo di Robert Taylor, ma destinato a tornare Aldo e a cedere lo scettro ad un altro Casanova, Fernando, detto Tirone. Il tutto nel nome del mitico Gobbo, «Un sanfredianino figlio di sanfredianini, che nel 1919 aveva messo sotto sopra l’intero rione con le sue gesta di rubacuori, e mobilitato al gran completo la Polizia per le sue gesta di scassinatore».
Era stato difeso dalle donne che lo trovavano bello. Gina, Tosca, Mafalda sono i personaggi femminili  più riusciti di Pratolini. Hanno mani bianche e occhi come lumi spalancati sul cuore; capaci a sedici anni di portar l’acqua ai partigiani per strada, spavalde e sfrontate, sincere e malandrine, sempre pronte a dire con fierezza: «Sono una ragazza di Sanfrediano. Non te lo dimenticare mai».
Testimone prezioso di una Firenze che fu, Pratolini (morto nel ’91) ancora oggi si legge volentieri perché è riuscito a cogliere l’anima popolare, fiera, rissosa, ironica, della città.
 
QUI UN INTERESSANTE TOUR ...
 SULL'EVOLUZIONE DELL'ARTE LETTERARIA DI PRATOLINI
«Quanto v'è di perfetto, in una civiltà diventata essa stessa natura, l'immobilità terribile e affascinante del sorriso di Dio, avvolge Sanfrediano, e lo esalta».
 


"S. Frediano è la zona più povera e più becera (volgare) con un suo codice d’onore. In San Frediano c’era il deposito della nettezza, il dormitorio pubblico e le caserme. Gli abitanti si dividevano in cenciaioli e quelli che cuocevano le interiore per poi vendere trippa, lampredotto e il loro brodo, quest’ultimo venduto a fiaschi. Lo stipendio dell’uomo quando c’era assicurava il pane e companatico. Le donne lavoranti a domicilio o trecciaiole coloro che rimpagliavano le seggiole per guadagnare il di più."
  
BORGO STELLA  (via dell’ardiglione)

L’ardiglioneè il ferretto al centro della fibbia che entra nel foro. Borgo stella: il nome deriva da un tabernacolo dove la Madonna aveva una stella.
E’ qui che avviene l’episodio più importante del libro, Mafalda in vestaglia e tutta spettinata, è corsa lì perché vuole un po’ d’intimità per parlare con Bob; questi la trova appoggiata ad un cancello di un giardino (che non c’è più), Mafalda si offre a Bob ma lui sprezzante le dice:"Non voglio scarpe vecchie", non sapendo con questa frase di firmare la sua condanna.
Mafalda finge noncuranza e gli risponde:"Ho paura che sul più bello ti faccia difetto la natura.
 
PIAZZA PIATTELLINA

Il nome le deriva da un vecchio mercato di stoviglie,  piatti bicchieri ma anche piccoli contenitori (mezzine) per attingere l’acqua; in Firenze si cita un vecchio stornello della zona del Mugello:

Io malesco le donne piccine
Che vanno a prender l’acqua e le un son bone
Le rompon tutti i c..i alle mezzine

In antico si chiamava piazza degli Orpelli, per orpello una lamina di rame trattata in modo da sembrare oro, dal latino “auri pellis” pelle d’oro. Di solito vi si fabbricavano cose di un gusto molto pesante.
  
VIA DEL LEONE -   Il nome deriva da quello di un’osteria.

I SANFREDIANINI
- Gente senza arte ne parte.
- Senza lavoro e senza partito (poiché o rossi o neri non interessavano a nessuno).
- Per il Sanfredianino il Paradiso è un posto dove c’è più panico che uccelli
- Per il Sanfredianino la giustizia è il nemico impiccato a un lampione (sbrigativo).
- S. Frediano è anche il rione delle CIANE donne volgari vestite di stracci(dipinte da Cesare Ciani un pittore macchiaiolo e da qui il nome).
  
VIA DEL CAMPUCCIO

Campo misero: l’angolo con via dei Serragli è chiamato il canto alla Cornacchia.
 Inizia da qui il racconto di Pratoliniche ambienta il suo romanzo “Le ragazze di S. Frediano”nell’immediato dopoguerra. E’ il rione di Bob che nel libro abita in via del Campuccio dove la fame si taglia col coltello, lui è un privilegiato perché lavora in comune al rilascio delle tessere annonarie, veste elegante e si è fatto la fama di don Giovanni. Il suo vero  nome è Aldo Sernisi, detto appunto Bob per la somiglianza all’attore americano allora molto in voga Robert Taylor,  vanitoso ma al momento del bisogno(la madre si ammala) lui vende tutto, abiti e scarpe per comprare al mercato nero la Penicellina. Famosa la frase pronunciata dopo l’acquisto“speriamo che la un sia polvere di micio”.

Le donne di Bob:

TOSCA
Fa l’impagliatrice di seggiole ed è stata partigiana a differenza di Bob, che si spaccia per ex ma il partigiano non l’ha fatto.
Quando passa per la strada gli uomini le dicono : “Tosca ti sei fatta mondiale”, e lei risponde: “come la guerra”.

GINA
Lavora alla manifattura dei tabacchi, vive anche lei in via del Campuccio, nella stessa casa di Bob ed è l’unica con cui Bob fa l’amore, anche se la considera più amica e consigliera che amante.

SILVANA
Lavora in un laboratorio di ricami sull’Arno, è lusingata dal fatto che Bob si interessi a lei. Quando scopre l’infedeltà di Bob dice: “Mi viene il parletico e domani ho un ricamo di precisione”.

BICE
E’ commessa alla Rinascente ed è rassegnata, sa che Bob è troppo bello e famoso per essere tutto suo.

LORETTA
L’ultima conquista, è affascinata da Bob e va in brodo di giuggiole quando le dice:
Tu sei i’mi boccino
.
MAFALDA
Figlia di un fiaccheraio. Quando inizia il romanzo Bob l’ha mollata e lei s’è buttata a fare la vita, perché per sua ammissione è una povera col desiderio del lusso: bei vestiti calze di seta ed è ancora innamorata di Bob.

La congiura delle RAGAZZE

Quando Tosca scopre la tresca,  raduna tutte le amanti di Bob ed insieme pensano a come vendicarsi.
La vendetta avviene nel pratone delle Cascine dove Bob viene attirato con un tranello, e quando meno se lo aspetta gli saltano addosso, colpendolo con pugni e denudandolo.

ALLA FINE...:

"Mafalda con le redini nelle mani le tirò e il cavallo staccò il suo trotto stanco. […] Così svenuto, sbracato, un ecceomo messo per traverso sugli strapuntini con le due giovani in serpa che lo deridevano Bob fece il suo ingresso in San Frediano. Finchè sullo schiamazzo sopravvenne la pietà, Bob fu preso a braccia, trasportato nel circolo tornò in se, si riordinò e quando aprì bocca la prima cosa disse : “L’è stata una conciata




Appuntamento ...scratch-made "Promuoviamo il Made in Italy" con autori italiani: LEGAMI...di Salvatore Paci

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PER Gruppi di lettura scratch-made"Promuoviamo il Made in Italy". Leggiamo autori italiani


 Salvatore Paci  ed il giallo LEGAMIMelino Nerella Edizioni - 2012)

  Da  programmatore - che vive a Caltanissetta - grazie alla sua indole complessa e al suo amore per tutto ciò che è misterioso,  è diventato scrittore....essere eclettici è ua valore aggiunto. Sono partita dal concetto che  creare per un computer è come costruire romanzi...Come nasce la storia di Legami? E quanto c’è di reale e ispirato e quanto di magico e fantastico?


Dopo essersi occupato per anni di thriller ha voluto provare a esprimere anche la parte romantica che vive in lui. Gli serviva un protagonista che suscitasse tenerezza al lettore e l’ha individuato in Micheluccio, questo bambino che impara da solo a diventare uomo e a rapportarsi con il mondo esteriore, dopo aver vissuto intensamente quello interiore
Legamiè una storia che molti di noi possono aver vissuto in prima persona, anche se in forme leggermente diverse. Spesso conta il contenuto, la sostanza. Ognuno di noi, prima o dopo, si ritrova a combattere una battaglia con la vita. Contro altre persone – non meno buone di noi – che stanno combattendo allo stesso modo. E l’amore, in tutto questo caos di una vita da scoprire, ci mette anche il suo zampino. In questo modo l'autore ha scritto una storia di fantasia che può diventare un abito che il lettore può indossare.
Quanto Michele- Salvatore, un uomo, coraggioso nel seguire il suo sogno, che lotta e crede fino alla fine.
 Michele- Salvatore, un uomo, coraggioso nel seguire il suo sogno, che lotta e crede fino alla fine.
Micheluccio, per integrarsi nella società è costretto a ricostruirsi, a rigenerarsi, a ricavarsi uno spazietto anche grattando con le unghie. Grazie alla sua umiltà e alla sua grande capacità di introspezione ci riesce e finalmente si trasforma in Michele. 
È innegabile che uno scrittore tenda a proiettarsi in uno dei suoi personaggi. In Legami c’è il Salvatore Paci sognatore.
Parlando sempre del protagonista: amore, fedeltà, autenticità, valori che spesso oggi sono messi in secondo piano...Con il progresso, purtroppo, si assiste anche a un regresso dei sentimenti, l’oramai perduta capacità di relazionarsi a un livello intimo, come si faceva tanti anni fa nei cortili, tra decine di amici con i quali si faceva di tutto. Oggi i ragazzi diventano dei nomadi e rimbalzano tra scuola, nonni, lezioni di musica, scuola calcio, ecc. ecc.. In una versione così frenetica della vita restano pochi spazi per fermarsi a pensare. Si va troppo di fretta.
Micheluccio ha del tempo, e lo usa per tuffarsi dentro se stesso.
La scelta di Barcellona, una vecchia tela bianca che un giorno un pittore ha voluto dipingere con i suoi colori. Questo pittore (che in realtà pittore non era) è stato Gaudí. E' stato lui a rendere magica questa città e a dare agli scrittori (a partire da Carlos Ruiz Zafón), la possibilità di rendere affascinanti questi romanzi ambientandoli in quel luogo. Possiamo precisare che Barcellona è una delle due città nelle quali si svolge Legami: l’altra è Caltanissetta, che nel romanzo si chiama Montesalso. Una città a misura d’uomo che, credo, ha tutti i requisiti per affascinare i turisti che la visitano.


E magiche sono anche le figure della vecchia mendicante e del suo cane... E' uno scrittore costantemente alla ricerca della chiave magica che possa aprire il cuore del lettore. Gli anziani forgiano questa chiave con il trascorrere degli anni, i cani la posseggono sin da quando sono palle di pelo. In Legami, queste due figure hanno un ruolo determinante, al di là della simpatia che la loro figura può ispirare.

Lo scrittore ha affermato che «scrivere vuole dire comunicare, trasferire, penetrare nella mente di chi legge». E c’è riuscito benissimo! 
 Il suo scrivere è un continuo studio per penetrare nella mente del lettore. Ha imparato osservando la gente comune, la natura, parlando con la gente. Anche le persone che a prima vista potrebbero apparire meno interessanti di altre hanno tanto da insegnarci. Ha ascoltato tanto, parlato poco...

I capitoli sono raccontati dai vari personaggi cosicché si narrano i legami tra loro e tutti sono protagonisti. Lo sguardo del lettore e del protagonista di turno coincidono.


Presentato al Salone del Libro di Torino 2012,  uno stralcio tratto dal romanzo:

«Lui arriva, ti abborda al bar, si fa del sesso e subito comincia a farti discorsi strani. Ti dice il contrario di ciò che avrebbe detto ognuno di quei ragazzi che sbavano per te. Questa cosa ti affascina. Forse perché è la prima volta che ti senti una cacciatrice che potrebbe perdere da un momento all'altro la sua preda. Ti accorgi che lui ha delle qualità che altri non hanno. Ti legge dentro, ti parla di cose interessanti, mai banali. Poi vedi che ogni tanto cambia registro e ti parla soltanto di cose banali, così banali che ti pisci addosso dal ridere e ridi tu e ride anche chi gli sta attorno e la cosa ti dà quasi fastidio, perché lo vorresti tutto per te. Torni a casa e questa ti sembra vuota, senti che lui già ti manca e quando stai con lui cerchi di fare il pieno di allegria e di attenzioni. Poi, ogni volta che torni a casa scopri che l'energia accumulata dura ogni notte sempre meno. L'effetto memoria delle batterie dei vecchi telefonini. Cominci a vedere un futuro che lui dice di non vedere. Credi di riuscire a cambiare le sue idee. Dopotutto lui non è un adone e un'altra come te dove la troverebbe? In Sicilia? Ah ah ah! Impossibile. Cominci a sentirti sicura di te, lui ti appartiene e, quando pensi che sia davvero così lui arriva e ti dice che è tutto finito. Dimmi che è tutto uno scherzo!»






Giro d'Italia Letterario 30 agosto...Piero Chiara ed Il piatto piange...

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CON IL Giro d'Italia Letterario, il    30 agosto...SONO A LUINO, Piero Chiara   illustra il proprio romanzo 
Il piatto piange... 
 
 
Questo romanzo ha le  caratteristiche proprie del neorealismo, con un’ambientazione della vita di paese, nell’arco temporale  fra le due guerre, di  rilevante importanza sociologica.
E’ un mondo chiuso, direi  addormentato:  la vita scorre ancor più monotona anche per effetto del regime fascista che tende a impedire ogni novità. In quest’atmosfera di una stasi  quasi logorante, gli accaniti giocatori di poker o chemin de fer trovano nel gioco delle  carte un’evasione, quasi una forma di "primordiale ribellione". Gli unici eventi, quindi, che si staccano dalla monotonia  quotidiana  sono le interminabili partite, con le battute nei confronti dei perdenti, oppure le avventure boccaccesche, anch'esse una specie  di gioco per rivendicare la propria caratteristica  di uomini fondamentalmente liberi.
Si entra in un clima ovattato, fra le montagne e il lago, vengono delineate diverse storie, una varietà di personaggi, ognuno con pregi e difetti, ma soprattutto con caratteristiche del tutto proprie.
 

 
Troviamo così il biscazziere Sberzi, disposto perfino a giocare se stesso, Mammarosa, la tenutaria del bordello del paese, descritta quasi con  tenerezza come una delle istituzioni del luogo, l’anonimo Camola, se pur nell’intimo misterioso, e il Casanova  Tolini.
E’ tutto un mondo proprio di un’epoca e che verrà spazzato via dalla seconda guerra mondiale e dalla Resistenza, tanto che i due personaggi più tipici e anche più forti, il Camola e il Tolini, moriranno in circostanze diverse, ma in seguito a una zuffa con i tedeschi.


Questo romanzo l'ho riletto a distanza di anni  per questa iniziativa del Giro d'Italia Letterarioe vi ho ritrovato, come sempre,  un’estrema piacevolezza, come riscoprire una diversa civiltà, ora perduta, una specie  di archeologia letteraria che Piero Chiara ha saputo e voluto farci conoscere.
Egli è narratore autentico con il gusto diretto del racconto ed è rimasto tra i pochissimi  scrittori  italiani che ha  l’impareggiabile  grazia  del narratore puro: rende semplice e accessibile anche ciò che apparentemente risulta complesso,  incanta  con garbo il lettore fin dall’inizio, tiene viva la sua attenzione e lo intrattiene  piacevolmente per tutta la durata della lettura.
 Il teatro dei suoi personaggi  e lo spazio ideale della narrativa di Piero Chiara è spesso la nativa Luino e dintorni, a lui cara,  o i paesini che costeggiano le rive del lago  Maggiore, all’estremo nord della Lombardia,   vicini al  passaggio di frontiera italo-svizzero.
 
http://www.ininsubria.it/un-tour-nella-luino-di-piero-chiara~A10512


Una chiave universale per  le sue opere letterarie?
  
...per lui scrittore luinese, tutte le cose, gli eventi più banali,  che  accadono in quei luoghi sono  gli stessi che accadono in tutti i luoghi della terra, solo che  lì nel suo mondo, insomma, navigando tra le onde  e lo sfondo del Lago Maggiore, tra  l’affollarsi  di storie dopo storie, Chiara li può osservare con l’occhio limpido e curioso della narrativa  e  diventano “fatti” e in quanto tali sono rigorosamente da raccontare.
 
Raccontare per me” spiegava Piero Chiara “è una liberazione e insieme una verifica, un modo per rivivere le cose e capirle. Quando non avevo ancora ricnosciuta la mia vocazione alla letteratura, la sfogavo raccontando ai miei amici le mie avventure. Non a caso il mio libro fu ascoltato prima che letto da Vittorio Sereni in un caffè di Luino."



Chiara e il  suo laboratorio di scrittura...

Gli amici letterati, scrive Renato Minore,  lo avevano spinto, non più giovanissi­mo, al gran passo del roman­zo. In principio esisteva il grande affabulatore di storie, il provinciale adagiato nel suo vitalissimo ozio, il poeta (ma chi non lo è in pro­vincia?), l'intellettuale di for­mazione  libera, capace di molte curiosità e spigola­ture. Romanzo d'esordio Il piatto piange del 1962 la cui affettuosità critica del lancio è opera di  Vittorio Sereni (convinto che il suo amico d'infanzia dovesse saltare il fosso dell'oralità per cui era proverbiale a Lui­no). Ed emerge il tema di fondo del libro, «il ricantamento, nient'affatto crepuscolare o patetico, della giovinezza», un mondo fra cronaca, saggio di costume e narrazione distesa. E, ciò che più conta, il suo «to­no»: un acido leggero,  tra riflessivo e giudicante, come «il rendiconto amaro di un tempo perduto, di quello che è mancato a una generazione».
Ed ecco  il grande scrittore, pro­piziato da altri scrittori. E gli esiti sono per una volta an­che superiori alle attese:  Chiara ottiene su­bito i tantissimi lettori cui aspirava come naturale allargamento della sua audience da caffè. Tutti compresi nelle atmo­sfere «lacustri» dei personaggi tratteggiati,  nell'affannarsi dei personag­gi stessi tra amori furtivamente colti e piccoli intrighi visti sempre con una specie di vigi­lante bonomia, tasselli dentro una scacchiera dal  fon­do scuro (la vita, il destino, lo scorrere del tempo e il di­sordine delle azioni indivi­duali). Una «commedia uma­na» in cui il narratore entra ed esce con distacco e con li­bertà, con partecipazione, con ironica disponibilità dando  un sen­so,  proprio quello del rac­conto, dell'«ora ti conto un fatto».

In omaggio a suo padre, il  doganiere siciliano Eugenio Chiara,  ben vivo pur se ultranovantenne, nella primavera del 1961 il figlio Piero  volle compiere un lungo viaggio che lo riportò nel borgo delle Madonie, Resuttano, tante volte visitato nelle estati dell’infanzia. Dagli appunti presi nell’occasione venne fuori  un lungo reportage, ricco di ricordi, pubblicato da Vallecchi dal titolo Con la faccia per terra. Dal padre, lo scrittore aveva preso una eccezionale bravura nel racconto orale, che mostrava  volentieri nelle riunioni conviviali, sollecitato dagli amici a rievocare i mille episodi vissuti nel corso di una gioventù spregiudicata, trascorsa nelle cerchie più svariate. In una di quelle serate, alla fine del 1957, tra gli ascoltatori figurava appunto   Vittorio Sereni (coetaneo e amico di Chiara, come lui nato a Luino), che lo spinse a mettere per iscritto le affabulazioni dalle quali era rimasto stregato. Ne scaturirono due racconti in forma di lettera, pubblicati sulla rivista Il Caffè nel 1958 e nel 1959. Fu questo il primo nucleo del Piatto piange, il primo romanzo di Chiara, stampato dalla Mondadori nella primavera del 1962.

"I suoi personaggi, anche se a prima vista grotteschi, stralunati, intrisi di guasconeria , cialtroni da osteria  e dal regno delle bische clandestine, pur allineati non diventano mai macchiette, ma si distinguono e si muovono,  anche per poco e per rapide apparizioni in un abile incastro  della società popolare lombarda, sulle strade della sua  Luino, in paesi più o meno importanti della Valcuvia,  sulle sponde del lago Maggiore  o  nello sfondo di paesi  come  Laveno, Cannobio, Stresa,  Intra  e Arona. Di qui i suoi libri, le sue storie  di cui parla  il romanziere luinese, con accenti spesso brulicanti  e vivi  con una naturalezza sorgiva  di sfumature e di effetti  che scandiscono  storie universali  e comuni a  noi tutti.  I lettori furono colpiti  tra l’altro da una profonda  e sorprendente  scrittura fluida  e godibile, riflessione di storie  spesso calibrate, brevi narrazioni di poche pagine, intrecciate a volte vivacemente comiche, ma capace di comunicare anche dei  comuni sentimenti.



Va subito detto che sulla scacchiera della provincia,  Chiara dispone soltanto pedoni, che muove con precisione, nella convinzione che le vite degli uomini non famosi garantiscano al narratore combinazioni di inarrivabile varietà e interesse. Non soltanto da vicino – come è noto – nessuno è normale, ma tutti custodiscono il loro bravo segreto. In effetti, nelle opere di Chiara si stenterebbe a scovare un personaggio irreprensibile.
Il titolo del romanzo si deve all’importanza conferita al tema del gioco d’azzardo: il libro si apre sulle nottate consumate negli anni Trenta al tavolo del poker, nei sotterranei di un albergo affacciato sul lago. Il tema di fondo è lo scandalo, l’umiliazione del perbenismo, sistematicamente incenerito alla fiamma delle frustrazioni e degli istinti, come già lascia intuire il memorabile incipit : 

«Si giocava d’azzardo in quegli anni, come si era sempre giocato, con accanimento e passione; perché non c’era, né c’era mai stato a Luino altro modo per sfogare senza pericolo l’avidità di danaro, il dispetto verso gli altri e, per i giovani, l’esuberanza dell’età e la voglia di vivere. Nei paesi la vita è sotto la cenere». Si tratterà allora di rimestare le braci con instancabile premura.

   UNO STRALCIO SIGNIFICATIVO...

"COSÌ ANDAVA LA VITA"

"A mezzogiorno iniziammo la discesa per i colli verso Luino...
Non s'incontrava nessuno né per le strade né per i campi; e passando, onde accorciare la strada, tra filari di vigne spoglie, profittammo della solitudine per accosciarci a qualche metro l'uno dall'altro e far quello che avevamo sempre rimandato durante tante ore di gioco.in quella posizione si vedeva Luino a filo terra e la sponda arquata che si slanciava, leggera e vaporosa, nel lago punteggiato di barbagli. Qualche nebbia saliva d'intorno tra i roccoli. E il Peppino, con la sua voce chioccia da tedesco, e stentata per la posizione del corpo, diceva:'Ma tì, ma tì, guarda come l'è pur anca bel a fa sta vita! Giugum, magnum,un quai danée ghe l'èmm semper, lavurum pok o nagòtt, quant ghè de cudegà cudégum, pàssum l'inverno al kalt, d'està 'ndemm a nodà. E adess semm chì a vardà 'l laag cun la bel'ariéta fresca in sui ciapp!' E dopo una pausa per prendere fiato, la sua risata secca di arpia appollaiata, senza eco nell'aperta campagna. Così andava la vita in quei tempi e così andò ancora per anni, da una guerra all'altra, mentre altri fatti, altre gioie e tristezze venivano a complicare l'esistenza di quei giocatori".

da 'Il piatto piange', 1962, Mondadori


...IO LA PENSO COSI'

...  a  questa mia preferenza verso il romanzo di Chiaracredo  non poco contribuisca l’aver scoperto allora come oggi, come sia possibile scrivere di eventi, del tutto normali, in modo semplice, ma efficace.




Giro d'Italia Letterario, in ottobre si fa tappa in ABRUZZO, LA MARSICA...E SI INCONTRA SILONE

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 Giro d'Italia Letterario -  19 ottobre

ABRUZZO, LA MARSICA...INCONTRO CON SILONE

IGNAZIO SILONE
La Marsica si trova nell'Abruzzo interno  (QUI IMPORTANTI CENNI STORICI), terra di origine dell'antico e combattivo popolo dei Marsi, (nonchè della famiglia  di mio padre ). Luogo ricco di storia e di natura: del resto  l'orso bruno marsicano prende il  nome  da questa terra. Regione,  zona che ha visto numerosi cambiamenti, trasformazioni sociali ed economiche, territorio a misura d'uomo che spesso ha dovuto subire (per il bene di pochi) soprusi da parte di popoli invasori, signorotti e politici.
La Marsica era caratterizzata fino alla fine del XIX secolo, dalla presenza del lago Fucino, uno dei più grandi del nostro Paese.
ANTICA MAPPA

 L'economia era basata sulla pesca e sulla coltivazione di ulivi e alberi da frutto cosa resa possibile, fra le montagne abruzzesi proprio, dalla presenza del bacino idrico che mitigava il clima premettendo la presenza di quel genere di colture.
LAGO DEL FUCINO
 Terminati nel 1878 i lavori di prosciugamento del lago, il Fucino subì una profonda trasformazione sia economica che sociale: non era più possibile pescare e l'assenza del lago portò ad un irrigidimento del clima che non permise più la coltivazione degli alberi da frutto. Tutta la conca del Fucino si trovò in un grave stato di povertà e miseria.
CANALE COLLETTORE PER IL PROSCIUGAMENTO











DUNQUE ...l’acqua nella realtà ambientale del romanzo...

 L'equilibrio alimentare e produttivo ancora oggi si basa sulla disponibilità ma anche sul controllo dell'acqua. Anche il più piccolo corso d' acqua garantisce una produzione agricola. Le acque amiche o nemiche per alluvioni, frane, fiumare sono causa dell'abbandono o dell'arroccamento della popolazione di  un paese,  di stabilità o mobilità delle popolazioni. Sorgenti,canali, fontane diventano punto di incontro e di riposo presso i quali i contadini si incontrano, parlano e si scambiano osservazioni. Ma non solo: i «luoghi d'"acqua" diventano anche luoghi di socializzazione e di trasgressione. Le antiche civiltà fluviali hanno trovto  in questo elemento la base della loro prosperità, offrendo un terreno di incontro di scambio e di contatto tra diverse culture e incidendo profondamente sulla distribuzione degli insediamenti umani e sulle loro vicende. Ogni comunità rivierasca intreccia un legame materiale e simbolico che esprime anche nella dimensione culturale.

Nel Sud dell'Italia la presenza di irrigazione nelle campagne ha sempre marcato una divisione tra la coltivazioni estensive e ricche e la piccola media proprietà : in Fontamara di Silone, il podestà del paese e i proprietari terrieri sottraggono ai contadini persino l'acqua con la quale irrigano gli orti da cui ottengono i pochi prodotti che assicurano un precario sostentamento. Nel romanzo l'acqua, elemento vitale, assurge a metafora dell'oppressione che conoscono le popolazioni meridionali, della loro volontà di riscatto e rinascita.
LA FONTE AMARA

La prima opera, "Fontamara", a cui ancora oggi è legata la notorietà di Silone  in misura maggiore, dentro e fuori dall'Italia, fu scritta nel 1930 a Davos, in Svizzera: nome immaginario di un piccolo villaggio di montagna, derivato da Fonte amara, ricco di significati allusivi per i fatti che vi si svolgono.
Nel 1948, dopo 18 anni di notorietà internazionale, la casa editrice Mondadori pubblica il volume Fontamara di Silone,  simbolo dell' Universo contadino  - paese marsicano.
Autore: Ignazio Silone, pseudonimo di Secondo Tranquilli, nato a Pescina l’1/5/1900 e morto a Ginevra il 22/8/1978.
Titolo: Fontamara.
Editore: Arnoldo Mondadori Editore, collana “Oscar Mondadori”.
 
...  36 anni fa avveniva la sua  morte.... scrittore dalla parte dei "cafoni" 
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/3/33/Tomba_di_Silone.JPG/220px-Tomba_di_Silone.JPG
DOVE E' SEPOLTO
AMBIENTAZIONE DEL ROMANZO

" A chi guarda Fontamara da lontano, l'abitato sembra un gregge di pecore scure e il campanile un pastore. Un villaggio insomma come tanti altri, ma per chi vi nasce e cresce, il cosmo".(I. Silone, Fontamara).
 Nella prefazione del libro, prima fondamentale testimonianza della poetica di Silone, l'autore afferma di aver dato questo nome a un "antico e oscuro luogo di contadini poveri situato nella Marsica, a settentrione del prosciugato lago di Fucino, nell'interno di una valle, a mezza costa tra le colline e la montagna ». E, quasi a voler sottolineare il nesso per lui indissolubile tra invenzione fantastica e realtà storica, oltre che la proiezione universale degli « strani fatti » accaduti nel corso di un'estate, aggiunge:

« Fontamara somiglia dunque, per molti lati, a ogni villaggio meridionale il quale sia un po' fuori mano, tra il piano e la montagna, fuori delle vie del traffico, quindi un po' più arretrato e misero e abbandonato degli altri. Ma Fontamara ha pure aspetti particolari. Allo stesso modo, i contadini poveri, gli uomini che fanno fruttificare la terra e soffrono la fame, i fellahin, i coolis, i peones, i mugic, i cafoni, si somigliano in tutti i paesi del mondo; sono, sulla faccia della terra, nazione a sé, razza a sé; eppure non si sono ancora visti due poveri in tutto identici ». 



Fontamara, ideale  paesino di contadini poveri situato nella Marsica, è un po’ fuori mano. A chi sale al paese dalla  piana del Fucino, appare disposto sul fianco della montagna grigia brulla e arida come una gradinata. Sono  visibili le porte e le finestre della maggior parte delle case: un centinaio di casucce quasi tutte a un piano, irregolari, informi, annerite dal tempo e sgretolate dal vento, dalla pioggia, dagli incendi, coi tetti mal coperti da tegole e rottami d’ogni sorta. La maggior parte di quelle catapecchie non hanno che un’apertura che serve da porta, da finestra e da camino. Nell’interno, per lo più senza pavimento, con i muri a secco, abitano, dormono, mangiano, procreano, talvolta nello stesso vano, gli uomini, le donne, i loro figli e gli animali. La parte superiore di Fontamara è dominata dalla chiesa (dedicata a San Rocco) col campanile ed una piazzetta a terrazzo alla quale si arriva per una ripida via che attraversa l’intero abitato, e che è l’unica via da dove posano transitare i carri. Ai fianchi di questa vi sono stretti vicoli laterali, per lo più a scale, scoscesi, brevi, coi tetti delle case che quasi si toccano e lasciano appena scorgere il cielo. A chi guarda Fontamara da lontano, l’abitato sembra un gregge di pecore scure e il campanile il pastore. Un villaggio insomma come tanti altri.
Nella premessa, il narratore è lo stesso Silone. Le vicende, invece, sono raccontate all’autore da tre fontamaresi (Giuvà, Matalè e il loro figlio). L'autore immagina di essere stato raggiunto nel suo esilio svizzero dai tre Fontamaresi: un uomo, sua moglie e il figlio, i quali gli riferiscono gli ultimi "strani" avvenimenti accaduti in paese. Questi sono fortunatamente scampati al massacro.
"Su Fontamara non ci sarebbe niente da dire, se non fossero accaduti gli strani fatti che sto per raccontare... Per vent'anni il solito cielo, circoscritto dall' anfiteatro delle montagne che serrano il feudo come una barriera senza uscita; per venti anni la solita terra, le solite piogge, il solito vento, la solita neve, le solite feste, i soliti cibi, le solite angustie, le solite pene, la solita miseria: la miseria ricevuta dai padri, che l' avevano ereditata dai nonni, e contro la quale il lavoro onesto non è mai servito a niente. Le ingiustizie più crudeli vi erano cosí antiche da aver acquistato la stessa naturalezza della pioggia, del vento, della neve. La vita degli uomini, delle bestie e della terra sembrava cosí racchiusa in un cerchio immobile saldato dalla chiusa morsa delle montagne e dalle vicende del tempo".
(FONTAMARA, 1988, p.5)
                                      I PERSONAGGI

Silone fa innanzitutto una distinzione fra il bene e il male, identificati con i cafoni e i galantuomini. Tutti i cafoni non vanno considerati singolarmente, ma come un gruppo di persone sottoposte allo stesso triste destino, descritte spesso in un modo piuttosto comico, che riflette purtroppo la loro condizione: l’ignoranza, la povertà, la fiducia ingenua nelle autorità, la diffidenza nei confronti del governo. Con la cultura, i galantuomini possono ingannarli senza difficoltà; per fortuna i fontamaresi hanno anche la “furbizia contadina” che consiste nel trarre vantaggio anche da situazioni molto sfavorevoli, ad esempio quando si fanno pagare da don Circostanza per i voti dei morti.

CARATTERISTICA  CULTURALE 

 I cafoni sono ignoranti, sono per lo più analfabeti: sanno fare solo la propria firma. La mancanza di istruzione impedisce loro di capire il discorso del cav. Pelino, e tale incomprensione è origine di molti mali. Anche la politica risulta estranea ad essi: non sanno, infatti, nulla del regime fascista allora al potere, e quando devono gridare “Viva chi?” non sanno cosa dire.


            CARATTERISTICA  SOCIALE

 Il vivere sociale per i cafoni si articola in tre ambiti:
1) ambito religioso
2)  politico
3)  dei rapporti interpersonali
1) I cafoni hanno una religiosità marcata, vissuta in modo superstizioso e si esplica in una profonda devozione verso i santi.
2) Nonostante siano fiduciosi nelle autorità, quando si rendono conto del carattere dittatoriale del governo fascista, nasce in loro una forte diffidenza.
3) I cafoni si sentono presi di mira dagli altri contadini: infatti, quando subiscono torti, pensano di essere vittime di scherzi organizzati dagli abitanti dei paesi vicini


         CARATTERISTICA  ANTROPOLOGICA

I cafoni si comportano in modo impulsivo senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni, agendo, però, sempre in buona fede. Tra i cafoni spesso nascono liti anche in momenti molto delicati; nonostante questo, però, essi rimangono  uniti perché le loro azioni frequentemente avvengono di comune accordo. Non si può dire, però, che i cafoni abbiano autonomia d’azione, essi si fanno anche trascinare dalle decisioni altrui, per esempio quando il primo cafone firma il foglio al cav. Pelino tutti, uno dopo l’altro, lo seguono. Sono inoltre piuttosto ingenui e si fidano di tutti fino a quando capiscono di essere stati ingannati e allora diventano molto diffidenti.
Solo Berardo Viola si distingue tra i cafoni per la sua dinamicità: prima è presentato come un ribelle, poi comincia a pensare solo ai fatti suoi, quando ha intenzione di rifarsi la terra per sposare Elvira; ed infine, alla morte di Elvira, sarà il primo cafone a sacrificarsi per gli altri.
Berardo appare come l’eroe dei fontamaresi, in particolare dei giovani.
La storia della sua famiglia sembra riservargli una vita piena di difficoltà che egli supera come un lottatore.
Berardo ha un forte attaccamento alla terra e un ancora più grande amore nei confronti di Elvira. Egli  pensa che un cafone senza terra non sia tale, infatti vede la proprietà come il segno della dignità di un uomo, perciò cerca a tutti i costi di guadagnare qualcosa per comprarsi la terra e in seguito sposare Elvira.
Questo amore è un sentimento ardente, e il giovane diventa violento nei confronti di chi osa mettere gli occhi sulla sua donna.
Anche il personaggio di Elvira è molto importante, motore delle azioni di Berardo. Donna dal carattere molto forte, si arrenderà solo dopo l’assalto dei fascisti al paese, questo avvenimento la porterà a consacrare la propria vita alla Madonna.
Berardo cambia modo di comportarsi a seconda del luogo in cui si trova, ma una caratteristica accomuna tutti i suoi modi di agire: quella di volersi ribellare. 

                                    http://www.amici-silone.net/photogallery/sil_1922_berlin_d.jpg
AMBIENTAZIONE STORICA

 L’opera è stata composta nel 1930, ma è ambientata nel XX secolo,  la narrazione parte dal 1 giugno del 1929,  durante il periodo della nascita della dittatura fascista nel meridione, mentre nel settentrione essa era avvenuta qualche tempo prima.
In un primo momento i fatti si svolgono a Fontamara, nelle campagne e nei paesi vicini. Nell’ultima parte del romanzo l’azione si sposta a Roma. Il regime fascista viene criticato dall’autore.

 PER CAPIRE L'UNIVERSALITA'
 DEL ROMANZO DI SILONE

«Guardate Silone» disse Camus. «Egli è radicalmente legato alla sua terra, eppure è talmente europeo.» Infatti  la  problematica sociale politica religiosa ha sempre trovato  un’eco immediata negli altri Paesi, dove i suoi libri continuano a essere tradotti e discussi

" Questo racconto apparirà al lettore straniero, che lo leggerà per primo, in stridente contrasto con la immagine pittoresca che dell’Italia meridionale egli trova frequentemente nella letteratura per turisti. In certi libri, com’è noto, l’Italia meridionale è una terra bellissima, in cui i contadini vanno al lavoro cantando cori di gioia, cui rispondono cori di villanelle abbigliate nei tradizionali costumi, mentre nel bosco vicino gorgheggiano gli usignoli. Purtroppo, a Fontamara, queste meraviglie non sono mai successe. I Fontamaresi vestono come i poveracci di tutte le contrade del mondo. E a Fontamara non c’è bosco: la montagna è arida, brulla, come la maggior parte dell’Appennino. Gli uccelli sono pochi e paurosi, per la caccia spietata che a essi si fa. Non c’è usignolo; nel dialetto non c’è neppure la parola per designarlo. I contadini non cantano, né in coro, né a soli; neppure quando sono ubriachi, tanto meno (e si capisce) andando al lavoro."
http://www.rose.uzh.ch/studium/faecher/ital/jubilaeum/scrittori/silone/FirmaSilone.jpg
 
Cercare di  dare un quadro generale,  facendo un'analisi anche dello stile che lo scrittore ha utilizzato per sottolineare alcune caratteristiche dei personaggi e dell'opera stessa,  non è stato compito semplice. 
Sono andata forse  oltre quello che è il messaggio (tra l'altro molto chiaro ed esplicito) che Silone invia ai lettori: egli, confinato in Svizzera, esprime il suo disprezzo nei confronti della dittatura fascista e invita gli oppressi a ribellarsi contro ogni ingiustizia o li esorta almeno a provarci, attraverso la voce di Berardo Viola e dei suoi compaesani fontamaresi, i quali lotteranno contro una nuova realtà politica e sociale che li costringe ad una condizione ancor più disperata e misera di quella alla quale sono abituati e che hanno accettato con una sorta di rassegnata religiosità popolare, in quanto era stata data loro da Dio ed era rimasta immutata nei secoli: 

"[.]E Michele pazientemente gli spiegò la nostra idea: «In capo a tutti c'è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe di Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch'è finito.»"


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UN VENERDI' DEL LIBRO CHE, CON IL GIRO D'ITALIA LETTERARIO, FA TAPPA IN UMBRIA, LA MIA REGIONE DI ORIGINE

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VENERDI' DEL LIBRO - GIRO D'ITALIA  LETTERARIO - COLLAGE


UN VENERDI' DEL LIBRO CHE, CON IL GIRO D'ITALIA LETTERARIO, FA TAPPA IN UMBRIA, 
LA MIA REGIONE DI ORIGINE


Per un fine settimana si può programmare una gita tra il verde visitando anche la località Giro di Vento, presso Otricoli in provincia di Terni, (l'antica Ocricolum, adagiata su una collina dominante la Valle del Tevere e sulla sinistra della via Flaminia) dove è ambientato l'omonimo libro di De Carlo, edito da Bompiani nel 2004.
IL ROMANZO CHE HO LETTO 



VI PRESENTO L' UMBRIA, 
CUORE VERDE DELL'ITALIA...

"...il continuo rincorrersi di colline che digradano in vallate ampie, offre alla vista un paesaggio tipico con piccole città, raggruppamenti di case, poste sui pendii dei colli, suggestioni da presepio..."in  The Voyage of Italy di Richard Lassels

....la mania per il Grand Tour e l’espressione stessa, sembra abbiano fatto la loro comparsa proprio sulla guida  di Richard Lassels, edita nel 1670, anche se il successo del libro di Thomas Coryat Coryat’s, Crudities, è spesso considerato come l’inizio della mania per i Viaggi in Italia ed in Europa.


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UMBRIA - META DEL GRAN TOUR 
 
Il Grand Tour, dunque, era un lungo viaggio nell’Europa continentale effettuato dai ricchi giovani dell’aristocrazia europea a partire dal XVII secolo e destinato a perfezionare il loro sapere. Questo viaggio poteva durare da pochi mesi fino a svariati anni. La destinazione finale era comunemente l’Italia. Durante il XIX secolo, la maggior parte dei giovani europei istruiti fece il Grand Tour. Più tardi, divenne alla moda anche per le giovani donne. Un viaggio in Italia con la zia nubile in qualità di chaperon faceva parte della formazione della signora d’alto ceto. 

Thomas Coryat Coryat’s, Crudities
 Verso la fine del Settecento ogni uomo di cultura europeo che si rispettasse doveva aver compiuto almeno un viaggio in Italia, paese ricco di testimonianze del passato classico, di paesaggi bucolici e sempre vivacizzato da feste, spettacoli teatrali e musicali. L’Umbria, terra di transito quasi obbligata lungo la strada che conduce a Roma, ha sempre rivestito un ruolo centrale in tutti gli itinerari. Ciò giova indiscutibilmente anche alla sua fama nel corso del Grand Tour: il pittoresco ed il sublime, alla cui ricerca si mettevano i viaggiatori, sono due aspetti di una certa estetica del paesaggio sicuramente presenti in Umbria.
Tutt’intorno, fiumi, ruscelli torrenti, tra montagne verdissime percorse da sentieri antichi che conducono in piccoli borghi medievali arroccati su colline coltivate a oliveti e vigneti. E, a pochi chilometri, i siti archeologici umbri, romani ed etruschi, da Carsulae a Ocriculum, fino alle necropoli di Orvieto e ai ricchi musei di Amelia e di Terni; le rocche e i castelli del narnese, del ternano e dell’orvietano, le mirabili chiese romaniche e gotiche, gli eremi francescani, le atmosfere suggestive dei tanti borghi medievali come Stroncone, Narni e San Gemini. Tutto racchiuso in un territorio unico, lontano dai luoghi comuni. La campagna e il paesaggio agricolo, gli specchi d’acqua come quelli del lago di Piediluco e di Corbara, la natura splendida come quella delle aree protette dell’oasi di Alviano o quella suggestiva della Valnerina; infine i mille colori ed i profumi, i valori semplici di una volta, le testimonianze storiche, artistiche e culturali, uno scenario rigenerante
E proprio l'Umbria  era ammirata per il  territorio essenzialmente montuoso e collinare, nell'Appennino Umbro-Marchigiano, a confine con le Marche, dove si trovano i Monti Sibillini con il Monte Vettore, la cima più elevata.
Se attraversiamo il territorio, nella  parte centrale, occupata dalle colline intervallate da conche e valli, ecco il verde panorama ondulato con la Valle Tiberina, percorsa dal fiume Tevere, la più lunga anche se la Valle Umbra è il “cuore” della regione in quanto vi si trovano i centri abitati più conosciuti come Perugia, Assisi, Gubbio e Spoleto. Infine il Fiume Nera, affluente del Tevere, che nel ricevere  le acque del Fiume Velino, provenienti   da un altopiano,  con un salto di 160 metri  forma  la famosa Cascata delle Marmore a Terni dallo  spettacolo suggestivo, ed a  ovest di Perugia, il Lago Trasimeno, il più esteso dell'Italia centrale. 

 
 Generazione De Carlo...

...c’è che l’altra sera ho finito di leggere Giro di Vento, acquistato in edizione economica.
Questo romanzo -  secondo le indicazioni temporali del GdL GIRO D'ITALIA  LETTERARIO- , rientrava come testo di lettura in tempi pù ristretti,ma ne tratto ora poiché ne ho una visione più ampia e completa.
La storia non è male, al di là delle caratterizzazioni dei personaggi un po’ stereotipate, tutto stretto in una vicenda abbastanza avvincente con  una solida unità di tempo e luogo.

PERCHE' GENERAZIONE DE CARLO...
...la sua generazione è cresciuta con lui, ritrovandosi nei suoi romanzi, tutti diventati bestseller. Eppure non scrive narrativa di genere e non è mai ricorso all' espediente della trama gialla per attrarre i lettori. È il caso De Carlo, un' anomalia italiana da centomila copie a titolo. Ne ha pubblicati tredici, uno dei quali,Due di Due,è un longseller, che da diciassette anni i ragazzi si passano di mano. Ogni volta, dal 1981, quando a 29 anni ha esordito  con Treno di panna,la sua esistenza è diventata materiale narrativo. Il suo tredicesimo romanzo, IL LIBRO IN QUESTIONE,  è il primo a non veder protagonista un suo alter ego; anche se i quattro professionisti che danno vita al libro potrebbero benissimo essere suoi ex compagni di liceo, dei potenziali De Carloarricchiti e nevrotici, che vivono dei simboli del denaro e parlano con il linguaggio delle loro carriere.  Questa volta l' autore si è divertito a portare nella storia un personaggio reale, l' amico percussionista Arup Kanti Das.

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  Nel testo, è l' indiano che occupa assieme ad altri una cascina umbra messa in vendita, nei pressi di Otricoli, poichè la località Giro di vento è realmente in Umbria. Ma ciò non ha nulla a che fare con l' autobiografia. Giro di vento nasce da un' avversione, ed il motore del libro è il disagio di De Carlo, sorto quando, dopo lunghi soggiorni all' estero, si  è ritrovato ad abitare un' Italia che non gli piaceva.  Ecco allora inventarsi Luisa, Enrico, Margherita e Arturo, ossia la direttrice editoriale, l' architetto, la starlette televisiva e l' arredatore che partono un venerdì da Milano, destinazione Umbria.

Vanno a comprare un antico casolare  per trascorrere i weekend insieme, come ai bei tempi. Alla guida della monovolume che scende verso la campagna sta Alessio, agente immobiliare di "lucrose" speranze. L' ironia dei quattro sul suo "rampantismo" diventa invidia in Umbria quando, nei pressi della proprietà in vendita, la macchina finisce in un fosso e si rompe. I cellulari non prendono, fa freddo, è  notte e piove. I cinque "amici" devono trovarsi un rifugio. È il primo atto di un tranquillo weekend che comincia a girar storto e diventa di paura non appena trovano un tetto. Illuminati dalla penombra delle luci a olio, scoprono di trovarsi nella loro futura casa e di essere ospiti sgraditi della piccola comunità di autarchici che l' ha occupata.

Giro di ventoè un romanzo strutturato, sembra quasi scritto per il cinema e capitolo dopo capitolo si nota una progressione di colpi di scena, che minano gradualmente le sicurezze dei protagonisti. Ciascuno degli ex ragazzi di città inizia in certo  modo a sentirsi fuori posto riguardo alle proprie scelte, a come vive, a chi è, a com'è diventato. Le inquietudini personali si ampliano in un continuo rimpallo tra  azioni e reazioni. La diffidenza è una costante delle relazioni tra i due gruppi, gli integrati e i ribelli, che da estranei si confrontano nel romanzo. A fine weekend, il destino di ciascun componente dei cinque amici arrivati  in Umbria,  sarà largamente influenzato dal suo grado di apertura agli «estranei». 

Ma il romanzo è anche un libro «visivo»: il narratore fotografa il mondo rimettendolo in gioco sulla pagina. Anche i pochi cenni psicologici sono risolti in immagini (d'altronde uno degli interessi di De Carlo è proprio la fotografia). Lo sguardo dell'autore   è spietato per la molteplicità dei particolari riportati, la descrizione minuziosa delle sensazioni in campo. Per dirla con Calvino, c'è «una particolare acutezza dello sguardo che afferra e registra un enorme numero di particolari e sfumature (...) ingigantiti come attraverso una lente d' un teleobbiettivo»Lo scriveva nell' introduzione a Treno di panna, il libro con cui De Carlo esordì nell' 81.

LO STILE

Giro di ventoè il romanzo più vicino a quel primo, che ebbe tante critiche lusinghiere anticipando di qualche anno la stagione del minimalismo americano. Ma in quel momento quel che importava era altro: infatti con De Carlo, Tondelli, Palandri ecco una generazione di scrittori pronta a riferirsi alla vita prima che alla tradizione letteraria. In sostanza una narrativa basata sull' individualità emotiva dell' autore: al centro la realtà come luogo di identificazione. E' qui il segreto del lungo successo editoriale, e lo scrittore, che con Giro di vento ha voltato le spalle all' autobiografismo, ha modificato il modo di strutturare il romanzo oltre a cambiare editore (passando a Bompiani), è tornato ai giorni dei suoi esordi per trovare le parole, e «lo sguardo» necessario a de-scrivere la sua svolta.
  
13 Novembre 2004  - 10 ANNI FA, UNA PRESENTAZIONE INUSUALE ...

http://media-cdn.tripadvisor.com/media/photo-s/02/b3/0e/f5/teatro-della-cometa.jpg ...quella del libro - Giro di vento - di cui l' autore, Andrea De Carlo, ostinatamente e garbatamente, si rifiuta di parlare, ma suona la chitarra acustica: niente presentatori (vecchia istituzione fuori moda), sostituiti da due musicisti, affascinanti per la loro grazia casual- esotica, ed il mistero dei loro strumenti... E poi la presentazione in un teatro quello della Cometa, non in una libreria.
È stata squisitamente snob anche la scelta del teatro, creato nei primi Anni Cinquanta, utilizzando le scuderie del suo palazzo all'Ara Coeli,dalla contessaAnna Laetitia Pecci Blunt, nipote del papa Leone XIII° e soprattutto mecenatedelle arti fin dagli Anni Trenta.
Alle nove, teatro pieno, molte coppie alternative, qualche amichevole ex fidanzata dell'Autore, (Eleonora Giorgi, l'attrice e regista che ha ispirato ad Andrea De Carlo più di un romanzo, arrivata alla fine del Concerto tra parole e musica), si spengono i telefonini e si abbassano le luci, sul palcoscenico, arredato come un loft povero, campeggiano le due chitarre acustiche dell'Autore, ed altri indecifrabili fantasiosi strumenti musicali: bellissimo il grande corno in mogano rosso, di cui si scoprirà in seguito l'origine e la storia... Nella penombra un corpo maschile snodato, si alza da un divano malconcio, come svegliandosi dal sonno, e si avvia, in casacca judo e zuccotto in testa verso il corno rosso… Si apre una porticina e sbuca De Carlo, ancora ricciuto come ai tempi del suo esordio da ragazzo, 'Treno di panna', il romanzo 'benedetto' da Italo Calvino, ma più magro e ancora più on the road, con i jeans neri debitamente stinti e una maglietta. Si presenta, introduce il musicista australiano Phil Drummy, che stupirà gestendo, nel corso del concerto, almeno sei strumenti (l' impropriamente 'corno'è una tromba aborigena, e questa, spiega Phil, si chiama Idikin: è il nome dello spirito di un guerriero che si annida nel cavo dei grandi alberi, e pretende una musica cerimoniale). 
L'Autore va ad aprire la porticina, e presenta al pubblico rapito un giovane bengalese in tunica di leggera seta arancione, volto magnetico, i capelli nerazzurri, le mani prodigiose che scandiranno per tutto il tempo una musica ipnotica, battendo sulla coppia di tamburi benaglesi: i tabla.
Poi un altro giovane musicista, Arup, come uno dei personaggi di Giro di vento...
Signorilmente, Andrea De Carlo, non ha neppure accennato, al suo libro, e figurarsi parlare di trama e di personaggi! Ha invece sottolineato come Giro di vento sia stato stampato, per sua scelta, su carta riciclata e sbiancata senza l'uso del cloro. Ha chiamato in palcoscenico anche il responsabile romano di Greenpeace, Sergio Baffoni: «Il pianeta - ha ricordato l'ambientalista - consuma 300 milioni di tonnellate di carte all'anno, il consumo individuale, nei Paesi sviluppati, è stimato in 200 chilogrammi annuali». Ho smesso di prendere appunti sul mio bloc-notes, sentendomi corresponsabile del disastro. Bisognerà, di nuovo, come ai tempi di Socrate, affidarsi alla memoria.

OGGI...

... si divide tra la casa sui Navigli a Milano e la campagna vicino a Urbino («non è così selvaggia come quell' angolo di Umbria in cui arrivano i miei personaggi, però a volte anche lì possono saltare le linee telefoniche o andar via la luce»). Da tempo si dedica alla musica, esegue sue composizioni alla chitarra. Ha inciso un disco ed è in uscita un altro, insieme a un libro -da Bompiani- che è una specie di diario fotografico sui luoghi di Giro di vento. Tiene concerti quando partecipa a Festival letterari, insieme ad un musicista indiano, del Bengala: si chiama Arup, come uno dei personaggi del romanzo. «Non avevo mai trascinato un personaggio reale in un mio libro, ora l' ho fatto. E Arup si è divertito molto all' idea».
 ...MA

... Andrea De Carlo ha vissuto, lo scorso anno,  il superamento, anche mediatico, della sua esperienza come giurato nel programma televisivo "Masterpiece” 
http://www.corriere.it/cultura/eventi/13_ottobre_04/masterpiece-scelti-giurati-55858850-2d0d-11e3-bdb2-af0e27e54db3.shtmlMi sono chiesta in che modo la sua esperienza televisiva in Masterpiece, abbia cambiato il suo lavoro di scrittore. Certamente l’esperienza in sé ha avuto degli aspetti allucinanti, fra cui quello principale di cadere, da costruttore di storie, in una storia scritta da altri, che può essere un incubo. Dall’altra, però, uno la televisione o la conosce guardandola o magari andando ospite in un programma. Ma viverla da dietro le quinte ti fa scoprire anche dei meccanismi complessi e interessanti ed inoltre c’è l’effetto che la televisione ha. Una volta che esiste questa dimensione pubblica in video si diventa oggetto di tutto questo, smentendo in parte l'assunto di Giro di vento....
Infatti l'autore ha iniziato la sua carriera in un periodo precedente ad internet. Ora viviamo in un’epoca in cui i social network invadono costantemente la comunicazione. Quindi uno scrittore abituato a comunicare attraverso un libro e magari qualche incontro con i lettori, improvvisamente si trova catapultato in una scarnificazione costante del proprio lavoro attraverso i social. E certamente  l'autore può affermare:

”Sono molto contraddittorio rispetto a questo. Da un lato internet per me è importantissimo, non credo che potrei farne a meno ormai mentre scrivo. C’è tutta una parte di ricerca, che mi ha condotto ad esplorare nei campi più diversi per scrivere i romanzi più recenti. È un aiuto incredibile, ti dà la possibilità di accedere a moltissime fonti, di fare confronti, ma dall’altro mi fa paura la moltiplicazione di io che c’è nei cosiddetti social network. Io tutt’ora non ho una pagina facebook e non ho un profilo twitter. Poi però succede che se non ce l’hai c’è qualcuno che ne usa uno a tuo nome, per cui anche lì è una storia complicata e interessante perché in continua evoluzione. Fra l’altro, non incidentalmente, scrivendo una storia ambientata oggi, nella contemporaneità assoluta, è difficile immaginare personaggi che non abbiano a che fare con questi mezzi. Fanno ormai inevitabilmente parte di un romanzo contemporaneo.”

Credo che sia forte l' impatto per ogni autore, nel momento in cui non è più sua la storia che ha scritto, ma se ne impossessano i lettori, oltre ad essere un momento molto bello, emotivamente intenso. Quando il libro viaggia per conto suo, diventa di chi lo legge, in un certo senso non è più di chi lo ha scritto. È passato attraverso l'autore ma poi diventa una storia di chi la legge.
E' giusto che ogni scrittore provi per nulla un senso di possesso o di nostalgia rispetto a quando era una storia solo sua, però ovviamente sarà curioso, vorrà constatare come un lettore o una lettrice interpretano il romanzo, che tipo di lettura ne fanno. Credo che questa sia la fase di scoperta più avvincente per lo scrittore.

                     IN SOSTANZA...


Giro di vento: chi mai avrebbe voluto vivere nel Medioevo?

“Se non è troppo disturbo dovremmo fare una chiamata dal vostro telefono, per far venire un carro-attrezzi o un taxi dal paese” [....] L'indiano muove le labbra: dice “Non abbiamo telefono”. “No?” dice Enrico [....] “Allora non è che ci potreste acccompagnare in macchina fino al paese?” [....] L'indiano muove appena la testa; dice “Non abbiamo macchine [....] Non abbiamo nessun tipo di motore”. “Siamo contro i motori” dice la donna con il bambino. “Ah, ecco” dice Arturo. Alessio rivolto a nessuno in particolare dice “Siamo finiti nel Medioevo, siamo finiti”





DOPO UNA LUNGA PAUSA...DI RIFLESSIONE..., UNDICESIMA ASSEGNAZIONE DEL GUFETTO PORTAFORTUNA A QUEI BLOG CHE HANNO SUSCITATO IN ME INTERESSE...SENSAZIONI..

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RIPRENDO,  DOPO UNA LUNGA PAUSA, LA MIA INIZIATIVA DI ASSEGNARE IL GUFETTO  PORTAFORTUNA A QUEI BLOG CHE HANNO SUSCITATO IN ME INTERESSE...SENSAZIONI...ECC ECC



IN QUESTO FINE SETTIMANA, SARA' UN MODO SIMPATICO PER FESTEGGIARE IL COMPLEANNO
 

 ORA , PRIMA DI  DESIGNARE  I BLOG A CUI ASSEGNO IL GUFETTO PORTAFORTUNA

...DELLE SEMPLICI  REGOLE: 

1-  OGNI CURATORE DI BLOG PRENDERA'  L' IMMAGINE E LA PORRA' SUL PROPRIO BLOG

2- AD OGNI BLOGGER CHE SI ATTERRA' ALL'INDICAZIONE SOPRA CITATA,  INVIERO' PER POSTA (PREVIO INVIO  INDIRIZZO /RECAPITO CHE MI  INVIERETE COME MESSAGGIO PRIVATO SU FACEBOOK QUI IL LINK DELLA PAGINA RELATIVA AL BLOG), UN SEGNALIBRO PLASTIFICATO, IDEATO DA ME, I MODELLI DA SCEGLIERE SONO IN FONDO ALLA PAGINA



"La letteratura, come tutta l'arte, è la dimostrazione che la vita non basta. "




 http://www.andromedafree.it/gifanimate/archivi/salutiauguri/congratulazioni/04/gif_animate_saluti_auguri_09.gif  ...PER IL BLOG   -Papers - Scartoffie letterarie , curato da Candia,  una semplice ragazza appassionata di letteratura.... , nel tempo libero, tra le mille cose, adora prendere un libro (o anche il kindle - lo ammette, si  sta evolvendo) ed immergersi  tra le sue pagine.



 http://www.esternalizzati.it/wp-content/uploads/2014/06/7urpo8d.gif  PER IL BLOG  dillo alla lunaCURATO DA Marcella Andreini (QUI IL SUO RIFERIMENTO FACEBOOK) , ricco di spunti



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 http://gentilefoligno.it/wp-content/uploads/sites/39/complimenti.gif  PER IL BLOG  BACINI DI FARFALLA   
 VITA GIORNALIERA DI UNA GIOVANE MAMMA DI ORIGINE SPAGNOLA


 I  SEGNA-LIBRO DA ME IDEATI E CHE INVIERO' ...

 
SEGNALIBRO 1


SEGNALIBRO 2   
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Comunicatività tra blog, CON Nicchioni club... BLOG DI NICCHIA...

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Aprire un blog... interagire con blog...
DI NICCHIA

Aprire e curare un blog è un percorso che mi ha rivoluzionato la vita e grazie ad esso – nel mio caso sono sì una persona realizzata,  ma trovandomi in pensione da poco tempo dopo una vita lavorativa trascorsa a profondere cultura -e non solo- nella Nostra Bella Scuola Italiana quale prof di Lettere-, mi sono sentita pronta ad affrontare un percorso paragonabile allo studio di una lingua o di nuovo l’iscrizione all’ università.
IL BLOG "IL MIO MONDO DELLA LETTURA"- DA QUI ALLA HOME PAGE
Le ragioni per farlo.

-Migliorare i tempi per la lettura;
Presento, in post, rubriche e pagine , vari argomenti da diffondere presso i miei lettori virtuali. Infatti non è possibile scrivere e trattare di consigli di letture senza essere in grado di scrivere, in qualche modo!!

-Esercitare le modalità di scrittura;
Molte volte, scrivendo nel proprio blog, ci si ritrova a ri-cercare regole grammaticali e guide per togliersi i dubbi che inevitabilmente ti si presentano. REPETITA IUVANT !!

-Allargare la propria cultura;
Per tenere aggiornato il proprio bagaglio cuturale, per creare un valore per i propri lettori, si deve essere in grado di proporre punti di vista alternativi ed interessanti. E questo lo si può fare con la ricerca e l'aggiornamento anche tramite la condivisione con altri blog

-Diventare esperti;
Leggere, scrivere e approfondire argomenti di una certa NICCHIA, nel mio caso, mi hanno reso più consapevole di quanto andavo postando sul mio Blog, Il mio mondo della lettura... DA QUI ALLA HOME PAGE
 
SE CLICCHI SULLA DIDASCALIA,  TORNI ALLA HOME PAGE

 
-Conoscere gente;
E questa rappresenta la parte più interessante di questo post che ha come etichette #comunicatività tra blogger Nicchioni club blog di nicchia...,#blog,#condivisione di letture,#condivisione tra blogger...
Tempo fa mi sono imbattuta nel simpaticissimo blog Là in mezzo al mar… ci stan camin chefumano. Segnali. Io, Lucia e basta che ha ideato il Club Nicchioni, assegnando i Certificati blog di Nicchia a chi segue il BLOG ed inserisce il BANNER con il link...

http://luciebasta.wordpress.com/2012/10/29/oggi-e-il-lunch-day-oggi-nasce-il-club-nicchioni/
IL LOGO
….SI PRESENTA COSI'...

”Certi momenti della  vita del blogger (anzi bloggah, che rende meglio l’idea di quello che significa a volte pubblicare i pensieri nella rete) diventano leggeri e divertenti, soprattutto quando incontri anime simili alla tua e la condivisione delle idee è automatica e irrazionale. In quei momenti nascono progetti meravigliosi, ma soprattutto ironici.
Da un recente incontro di menti geniali, tutte dedite alla scrittura su web e alla ricerca di metodi per rasserenare le giornate, è nato un club esclusivo:  ClubNicchioni, orgoglio del blog di nicchia.

-se  hai un blog dai numeri limitati e risicatissimi
-se ti capita di non capire una cippa di wordpress.org
-se aborri il SEO
-se dalle chiavi di ricerca su google ti trovano con le parole più strane
-se adori scrivere e sai usare anche i congiuntivi e gli apostrofi
allora devi entrare a far parte dell’esclusivo circolo di internèt!
Sei un blogger di nicchia? Solo se lo dice il bollino Nicchioni
 
La cosa più professionale che abbiamo voluto donare a questo ristretto club è il suo meraviglioso banner che ha fatto Giada gratis:
C’è tutto un mondo di belle parole e contenuti, blog molto interessanti e poco conosciuti che hanno l’unico scopo di rallegrarti la giornata con i pezzi pubblicati (ma se dovesse arrivare uno sponsor mica ci sputiamo sopra, ce la tiriamo un pochino, mentre vagliamo l’offerta, nevvero): sostieni la qualità, diventa ambasciatore nel mondo web dell’orgoglio del blog di nicchia.
Anche voi vips della rete potete diventare business angel dei nicchioni, potrete così dimostrare a tutti che la bio-blog-diversità è un dovere, non solo un diritto!
Per poter far parte della ristretta cerchia dei blog di nicchia basta richiedere il bollino Nicchioni al mio indirizzo di posta luciebast@gmail.com: dopo un’attenta valutazione del consiglio direttivo verrà approvata la tua appartenenza al più ambito gruppo su web. Ti aspettiamo!”

Come non rispondere all' appello ?



...Crearsi una specie di reading corner,  e non solo, ricordando uno degli aforismi di PENNAC ("Come un Romanzo"), che ho utilizzato per creare il banner del MIO BLOG...
 "Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo di vivere"


...CHE NE DITE, ORA,  DELLE INNOVATIVE ED ORIGINALI IDEE 
DOVE RIPORRE I LIBRI CON UN MINIMO DI DESIGNE...
NOVITA' DALLA RETE... LIBRERIE PER ARREDARE 

METTIAMOCELO NELLA ZUCCA...

...riempiamo le librerie di libri e perdiamoci  nelle loro storie!




Giro d'Italia Letterario, ad Urbino con Alessio Torino e "Urbino, Nebraska"

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https://www.facebook.com/groups/1497868070433477/
L' INIZIATIVA
Una delle ultime tappe del Giro d'Italia Letterario, un po' più sofferta delle altre  ..in gergo ciclistico per le ...impervie salite di... letture diverse ma appassionanti allo stesso tempo. 
LE MOTIVAZIONI...
...il  traguardo per questo appuntamento  è stato raggiunto
Urbino.jpg
 Urbino,  una città situata a circa 450 metri sul livello del mare situata nella regione delle Marche dove ci sono alcuni dei principali monumenti della regione marchigiana
Nel XV° secolo, sotto i Montefeltro ( nobili della città, della dinastia dei conti di Carpegna) raggiunse il suo massimo splendore. Artisti giunti da ogni parte d'Italia si misero ad operare con grande impegno e talento fecero di Urbino importante centro dell'umanesimo.
Il centro storico è la parte più caratteristica con le  mura che la circondano, il complesso del palazzo ducale residenza dei duchi di Urbino
uno dei più importanti e meravigliosi interventi dell'edilizia architettonica e  urbanistica del rinascimento italiano. Si può godere anche del  panorama verdeggiante passeggiando lungo la via delle mura specialmente al tramonto. A Urbino comunque molti gli scorci pittoreschi ad ogni angolo perdendosi tra i vicoli del centro storico
In viaggio verso le Marche  con Alessio Torino ed il suo “Urbino, Nebraska”.

“ Quando penso al rapporto tra autore, libro e lettore mi viene in mente una frase di Snoopy: non c’è niente di più noioso dei sogni degli altridice Alessio Torino- perché quando una persona scrive molto spesso cerca di farlo raccontando i propri sogni, senza pensare che in realtà agli altri non interessano”.



Scrivere "deve essere un mezzo per  comunicare qualcosa al lettore e trovare il proprio stile.Ognuno di noi ha un X-factor– ha aggiunto Torino bisogna saperlo riconoscere".



Alessio Torino sa scrivere molto bene, ed  un'intervista  di  

 - Nei ringraziamenti di Urbino, Nebraska citi Paolo Volponi, senza il quale questo libro, forse, non ci sarebbe stato. Quali sono stati gli altri riferimenti letterari per il romanzo?

"Mentre scrivevo ho pensato spesso ai romanzi cavallereschi, non a uno in particolare, ma al romanzo cavalleresco come genere. Credo sia un tipo di narrazione molto contemporaneo. Quando si dice che Jennifer Egan ha inventato un genere con Il tempo è un bastardo si dice una cosa vera solo in parte. Perché in fondo anche il romanzo di Jennifer Egan è un romanzo cavalleresco, con una moltitudine di personaggi diversi che incrociano le loro vite. Che uno si chiami Rinaldo o Tommy, cambia qualcosa? C’è una scena in Versioni di me di Dana Spiotta – sto citando tutti titoli pubblicati in Italia dalla stessa casa editrice che ha pubblicato Urbino, Nebraska, ma penso che sopravviveremo alla mia poca eleganza –  che mi ha fatto capire fino a che punto fosse vero. È quando la coppia di protagonisti – la donna che racconta la storia e il fratello, il rocker immaginario – va a trovare un musicista in fin di vita. Questo qua sta malissimo, ma sentendo lo stereo continua per abitudine a muovere su e giù il braccio come se suonasse una chitarra. Quel gesto lì del braccio mi ha fatto pensare che lui sarebbe potuto essere lo stesso musicista fallito che ne Il tempo è un bastardo sbatte sulla scrivania di lusso dell’ex amico discografico una carpa schifosa dopo averla pescata nell’Hudson. Sostituendo elmi e spade con cappellini e chitarre, il risultato è lo stesso: siamo in un genere aperto, dove personaggi secondari di una scena diventano personaggi principali in un’altra, un genere così aperto che i personaggi potrebbero quasi saltare da romanzo a romanzo – nei poemi cavallereschi del Quattro-Cinquecento, questo succedeva davvero, e infatti l’Orlando furioso nasceva come gionta all’Orlando Innamorato, in un certo senso non iniziava. Il problema di queste narrazioni è che poi è difficile chiuderle, cioè mettere il punto alla fine. La natura stessa di questi incroci di storie rifiuta la fine. C’è sempre, nell’ombra, un personaggio minore che vorrebbe prendersi il suo spicchio di vita. E noi, come possiamo non darglielo? Poi però ci sono anche i risvolti pratici. La redazione mi ha dovuto gentilmente strappare dalle mani l’ultimo giro di bozze. Però non era colpa mia, ma del genere!"

 LA TRAMA

Un giorno del 1987, tra le mura di Urbino, succede una disgrazia. Due ragazze, due sorelle, Ester e Bianca, vengono trovate morte su una panchina di un parco pubblico, con l’ago nella vena. Dieci anni dopo, venti anni dopo, oggi, Ester e Bianca vivono ancora nelle storie di tante persone comuni. Una studentessa universitaria vorrebbe confortare la loro anziana madre malandata. Alcuni giovani musicisti sembrano ispirarsi alla loro collezione di dischi. Uno scrittore fallito decide di raccontare le sue frustrazioni in un romanzo. Inoltre sopravvivono gli oggetti che lasciano intravedere frammenti dei poco chiari anni Ottanta / Novanta/ primo decennio del 2000, tra droga, gloria e intransigenza – una foto sulla mensola di una cucina, un pezzo rock, un ritaglio della cronaca nera del Resto del Carlino, l’anello scambiato dalle due sorelle per l’ultima dose di eroina.
Composto da quattro brani legati dal filo rosso della storia di Ester e Bianca, il romanzo di Alessio Torino racconta un luogo fisico, Urbino, che diventa, a poco a poco, luogo universale del cuore. (notizie dal risvolto)

DISCUSSIONE

Due ragazze morte di droga, un fatto enorme che nella finzione segna indelebilmente la storia recente della comunità cittadina. Ecco, questo è forse secondo me il punto debole del libro. L’intento avvolgente non sembra compiuto fino in fondo: manca equilibrio tra le quattro storie, e il quadro d’insieme leggermente forzato. Forse le vicende narrate avrebbero potuto prendere strade differenti, parti di racconti indipendenti o di altrettanti romanzi?
Ma questa è solo la mia impressione.
Sono andata alla ricerca del perché di questo titolo: esso evoca chiaramente quello del capolavoro dello scrittore americano Sherwood Anderson, Winesburg, Ohio. Lì, in effetti, ci si trovava di fronte a molti racconti brevi o brevissimi che riguardavano gli abitanti di questa cittadina immaginaria delMidwest, senza una vera trama a fare da collante.

NOTIZIE SULL'AUTORE AMERICANO

Non dei semplici racconti, ma la «pietra miliare» dei racconti americani: il grandissimo Sherwood Anderson è tornato il libreria con la raccolta Winesburg, Ohio, ripubblicata nel 2011 da Einaudi (pagg. XII-234, euro 20). Finalmente, dopo anni di oblio, uno dei libri più importanti della storia della letteratura statunitense. Un testo che, per la prima volta, ha rivelato agli americani le doppie vite degli abitanti dei piccoli paesi di provincia, le loro aspirazioni, i loro sogni. Il suo autore è oggi meno noto in Italia di altri eccellenti come Fitzgerald o Hemingway, ma ha grande credito fra chi di mestiere fa lo scrittore, credito meritato. Di Anderson c'è ancora molto da leggere e molto da scoprire, come i suoi bellissimi scritti autobiografici inediti in Italia.


Anderson, nato a Camden, Ohio, nel 1876, si realizzò come scrittore entrando nel circolo di Carl Sandburg e Theodore Dreiser (altri due grandi dimenticati) mantenendosi lavorando in un' agenzia di pubblicità. Una «scuola» che molto influirà sulla sua scrittura semplice, diretta e incisiva. Ebbe una vita più agitata che agiata: un' adolescenza poverissima trascorsa come vagabondo per le strade dell' Ohio sino a ritrovarsi a Cuba; combatté nella guerra ispano-americana, per poi raggiungere il successo e isolarsi a Panama dove morì nel 1941. Morì soffocato mangiando un panino al prosciutto a cui aveva dimenticato di togliere uno stuzzicadenti.



Il suo capolavoro è dunque Winesburg, Ohio, via di mezzo fra raccolta di racconti e romanzo, tanto che spesso prevale quest' ultima definizione. A dare unità alle ventidue narrazioni è la figura di George Willard, giovane cronista che osserva la vita del proprio paese e diventa, col procedere dei racconti, sempre più cosciente e lucido sul vicolo cieco in cui molte vite dei suoi concittadini sono destinate a perdersi. Non grandi catastrofi, ma il male di vivere cresce anche nella quotidianità. Non è gente povera, non ha subito incendi, inondazioni, carestie, non vive sciagure universali, è solo infelice perché intrappolata nella propria ragnatela psicologica, nel vivere una vita a metà.
Ma l'autore americano offre il senso del luogo, la coralità, la capacità di saper «fotografare» un paese qualunque della provincia americana a inizio secolo. Anche se oggi le sue «rivelazioni» possono sembrare innocenti, Anderson ha svelato all' America il suo volto nascosto, descrivendone i turbamenti e immortalandone - per usare le parole di Moravia, un fan del libro - «la trasformazione da paese agricolo e patriarcale a nazione moderna e industriale».


...LEGAMI CON URBIN0, NEBRASKA??? 
 

http://elfetatoo.e.l.pic.centerblog.net/37c58e31.gifIl libro di Alessio Torino è diverso. Il primo frammento, Zena Mancini (2010), è una specie di novella che occupa più della metà dell’intero libro, l’ultimo, La rotta (2012), poco più di una dozzina di pagine. Potrei forse affermare che Urbino, Nebraska si colloca a metà tra un vero romanzo e Winesburg, Ohio. E forse è più che legittimo.
D'altronde molte le ragioni per leggere un libro del genere: la principale l'ho trovata nel talento di Torino, che dimostra di saper muoversi tra le parole e le molte conoscenze, così Urbino, Nebraskaè un romanzo che credo possa camminare molto e per parecchie vie.

http://caesarom.com/tarhely/caesarom/kepek/12.gif

LO STILE

... si divide in 4 parti, separate tra loro eppure unite da rimandi temporali, nomi e consuetudini. In ogni racconto ho notato delle differenze di stile e ritmo, pur se minime.
http://bullies.b.u.pic.centerblog.net/73a68b6e.gifNel primo brano, Zena Mancini, la protagonista è una giovane universitaria, vive alla periferia di Urbino con la sua normale e presente famiglia, in cui trova comprensione e protezione. Zena è in cerca della sua strada, mentre trascorre le sue lunghe giornate all’università e in giro per Urbino coi luoghi e le vie nominati come se fossero parti della scrittura, come se fossero i silenziosi testimoni della sua crescita e della sua maturazione: 
 
“(...) lei si sente una studentessa perché Urbino le dà un gran senso di libertà, come se ci abitasse da originaria di qualche altro posto”.


Si sente libera perché si immagina altro, ma in realtà diventa se stessa proprio quando è Zena Mancini di Urbino, quando prende tranquillamente il caffè dopo pranzo in salotto sul divano con i genitori, quando al calduccio tra le coperte nel suo letto decide che non andrà alla gita a Berlino. Sceglie di rimanere nella sua città / culla, anche se vuol dire fare i conti con se stessa e i suoi problemi. E’ piatta la sua vita, come all'apparenza piatta sembra la scrittura, che segue il ritmo lento della quotidianità delle famiglie di provincia, una scrittura che poi improvvisamente cambia quando racconta delle anomalie, la mamma tedesca che impone uno studio esasperato alla figlia , gli amici che bevono e fumano troppo, e il fantasma di due sorelle trovate morte su una panchina tanti anni prima, per droga, e la loro mamma malata di cui si occupa la piccola comunità condominiale in cui vive Zena, l’unica realtà che conti, in fondo.
Tale cordone ombelicale con la famiglia originaria. con la durezza e la bellezza di Urbino, tiene legati anche i protagonisti degli altri 3 racconti: L’ultimo dicembre di Nicola Chimenti, Scale esposte a nord, La rotta.
Chimenti ha deciso, sarà prete, anche se questa decisione altererà per sempre gli equilibri nella sua vita, e i suoi rapporti con i componenti della band in cui suonava, a loro modo traditi da chi ha deciso di realizzarsi in un modo singolare e lontano.
Mentre in Scale esposte a nord Mattia Volponi, che da Urbino è partito per diventare un grafico di fama internazionale a Vienna, dove vive in una bella casa con la famiglia ideale, è preso da una continua insoddisfazione e inquietudine che lo riporteranno a Urbino, per incontrare il vecchio padre alcolizzato e intraprendere forse una nuova vita, perché andarsene senza aver fatto i conti col passato prima o poi ….. riemerge
L’ultimo racconto, La rotta, credo sia il racconto perfetto quello che segna il passaggio di testimone dal nonno ex partigiano al nipote adolescente, che comprende il senso dell’attaccamento, della tradizione e degli affetti facendoli propri, senza rinunciare alla propria individualità, anzi arricchendola di altre sfaccettature.
Su tutto incombe la storia di due ragazze morte per droga, della loro mamma senza più testa, e le piccole storie di case, affetti, invenri innevati, amici, band musicali, oltre all’andare e venire, come il ritmo circolare e universale di questi racconti.


Forse mentre scriveva ha pensato spesso ai romanzi cavallereschi come genere poiché credo sia un tipo di narrazione molto contemporaneo. Ad esempio quando si dice che Jennifer Egan ha inventato un genere con Il tempo è un bastardo(http://www.minimumfax.com/libri/scheda_libro/527 ) - con la sua struttura così complessa e variegata che l’impressione mentre lo si legge è proprio di spaesamento; in un gioco di figura-sfondo, i personaggi appaiono e scompaiono, sono protagonisti di un racconto e stanno sullo sfondo di un altro ma sono tra loro legati da due invisibili fili: il tempo e la musica, come fossero le coordinate della vita e il romanzo mettesse a fuoco alcuni momenti di incrocio tra questi due fattori - si dice una cosa vera solo in parte. Perché in fondo anche il romanzo di Jennifer Eganè un romanzo cavalleresco, con una moltitudine di personaggi diversi che incrociano le loro vite.
Afferma infatti Alessio Torino:

”Che uno si chiami Rinaldo o Tommy, cambia qualcosa? C’è una scena in Versioni di me di Dana Spiotta– sto citando tutti titoli pubblicati in Italia dalla stessa casa editrice che ha pubblicato Urbino, Nebraska, ma penso che sopravviveremo alla mia poca eleganza –  che mi ha fatto capire fino a che punto fosse vero. È quando la coppia di protagonisti – la donna che racconta la storia e il fratello, il rocker immaginario – va a trovare un musicista in fin di vita. Questo qua sta malissimo, ma sentendo lo stereo continua per abitudine a muovere su e giù il braccio come se suonasse una chitarra. Quel gesto lì del braccio mi ha fatto pensare che lui sarebbe potuto essere lo stesso musicista fallito che ne Il tempo è un bastardo sbatte sulla scrivania di lusso dell’ex amico discografico una carpa schifosa dopo averla pescata nell’Hudson. Sostituendo elmi e spade con cappellini e chitarre, il risultato è lo stesso: siamo in un genere aperto, dove personaggi secondari di una scena diventano personaggi principali in un’altra, un genere così aperto che i personaggi potrebbero quasi saltare da romanzo a romanzo – nei poemi cavallereschi del Quattro-Cinquecento, questo succedeva davvero”.

E infatti l’Orlando furioso nasceva come sequel o aggiunta all’Orlando Innamorato. Il problema di queste narrazioni si trova nella difficoltà di mettere il punto alla fine. La caratteristica stessa di questi incroci di storie rifiuta la fine e nell’ombra vi è sempre un personaggio minore che vorrebbe prendersi il suo spicchio di vita. E lo scrittore deve darglielo insieme ai risvolti pratici della redazione che chiede all'autore.... le ultime bozze ! 


Forse l’idea iniziale dell'autore era quella di fare una raccolta di racconti ambientati ad Urbino poi in un momento ben preciso della scrittura del libro, mentre stava scrivendo di Zena che tornava a casa per la prima volta, ha intuito che nell’appartamento di fronte, dietro la porta dall’altra parte del pianerottolo, viveva Dorina, la madre di Ester e Bianca, di cui aveva già scritto in un altro racconto. Da quel momento il libro ha cambiato natura: da una parte avvicinare fra loro i racconti perché si toccassero (personaggi che ritornano, oggetti rivelatori, etc.), dall’altra tenerli a distanza. Questo secondo aspetto è stato basilare e l'autore stesso non voleva e doveva cadere nelle trovate narrative di fronte alle quali il lettore è spiazzato mentre legge. Ma anche se potrà fare piacere, sul momento, scoprire che la penna che il protagonista del racconto A ha perso per strada, viene ritrovata dal protagonista del racconto B... rimane solo il fumo....
In Urbino, Nebraska c’è moltissima musica da Bruce Springsteen a Cat Power con precise citazioni perché anche nella vita dell'autore la musica è una parte importante ed anche inevitabile. Il rock fa parte delle vite di tutti almeno da un paio di generazioni precedenti a quella dell'autore e le citazioni fanno parte del libro stesso. Per esempio la collezione di dischi di Ester e Bianca è una delle parti pulsanti del libro, oltre che uno dei modi più singolari che permette al lettore di conoscere qualcosa delle due sorelle: si intuisce che la loro intransigenza musicale è un riflesso della loro intransigenza nella vita. La musica racconta molto dei personaggi: Zena adora Cat Power e quando un musicista un po’ saccente le dice «brave queste nipotine di Joni Mitchell»,  lei vorrebbe picchiarlo con una bottiglia!!
Zena, ascoltando l’album You are free, immagina che sia stato scritto proprio per lei, ed è un pensiero tenero e ridicolo insieme, perché in realtà lei è prigioniera di se stessa altro che “ you are free”.

In sostanza i personaggi di Urbino, Nebraskasembrano volere, senza potere, allontanarsi dalla loro città e l'autore con il romanzo ha voluto scrivere di personaggi che cercano di andarsene da Urbino e non ci riescono, altri che non riescono a tornarci dopo essersene andati, altri ancora che, andandosene via, mettono in crisi le vite altrui. Voleva forse che nella mente di ogni lettore si materializzasse l’immagine di Urbino da dentro e da fuori le mura, alternativamente senza morale per le soluzioni intraprese, anche soltanto desiderate o fallimentari.


I COMMENTI CHE MI SONO PIACIUTI MAGGIORMENTE...


DA IL CORRIERE,  CONVINCENTE E CONDIVISIBILE

 DA  Matteo Massi,  che  INCIDE  SU provincia e la  mozione degli affetti 


 IL MUCCHIOEVIDENZIA CHE Alessio Torino è un musicista nascosto ma soprattutto uno scrittore   


Cosebelle Magazine – Lifestyle al Femminile – Ladies is Trouble
.....in stile minimalista, ce lo racconta

 



Ortese, IL MARE NON BAGNA NAPOLI

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INTERESSANTI, ESAURIENTI I BLOG CHE TRATTANO
 DI LIBRI E LETTURE COME ...

Nina Pennacchi's blog

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oltre alle RUBRICHE CHE CURO PERIODICAMENTE



1- @PORTA UN LIBRO CON TE 10... dedicarsi alla lettura... in tutti i periodi dell'anno !!!

2 -30 SETTIMANE DI LIBRI #26... QUI INIZIA UN GIOCO- APPUNTAMENTO PERIODICO... UN-LIBRO-TRA-LE-MANI.

Tra memoria e immaginazione...

...il terzo libro di Anna Maria  Ortese,  scrittrice e giornalista, pubblicato  nel 1953,  Il mare non bagna Napoli, per la collana “I gettoni” di Einaudi,  diretta da Elio Vittorini. Premiato, quello stesso anno, con il Premio Viareggio ex aequo con Novelle del ducato in fiamme di Carlo Emilio Gadda, il libro, di  buon successo, è una acuta analisi degli ambienti meridionali, in particolare napoletani , senza però lasciare nulla al folclore  convenzionale. Di  lucida interpretazione e di appassionata polemica i tratti che si  ritrovano  non solo nel libro, ma anche nel suo lavoro di giornalista quale  corrispondente dell’Europeo
Alcuni  critici letterari nonché scrittori come Erri De Luca, su Il Corriere della sera, hanno stigmatizzato in parte  la raccolta di racconti della Ortese:

"Cara Ortese, questa non e' Napoli...Ahi, signora, non e' questo il suo modo di muoversi tra le corsie d' emergenza dell' umanita' . Introdursi nella miseria altrui con pretesa di visita, senza compassione, e' violazione d' intimita' e di domicilio. E' il ' 53, dieci anni sono passati dall' ultimo dei cento bombardamenti su Napoli e le macerie sono tutte al loro posto. Gli sfollati e i senza casa sono ancora accatastati al buio, nella citta' famosa per "
' o sole". Era il paese dei danni perpetui, di guerra o d' altro cataclisma, conservati intatti come cimeli d' arte..."

 Il libro si compone di cinque racconti che hanno come tema la miseria e la desolazione di una Napoli del dopoguerra destinata alla rovina e disperazione. L'autrice segue un indirizzo che testimonia la degradazione di un sistema sociale che distrugge la vita delle classi popolari napoletane.

"Perché questa non è una casa, signora, vedete, questo è un luogo di afflitti. Dove passate, i muri si lamentano".(Ortese, p.80)

https://lalunasulmuro.files.wordpress.com/2015/03/ortese-presa-da-giorgio.jpgAnna Maria Ortese nacque a Roma il 13 giugno 1914 e scomparve a Rapallo nel 1998. Visse a Napoli dal 1928 al 1937 e dal 1940 al 1944 e si diceva napoletana di adozione:" Sebbene nata a Roma, la Ortese dissemina la propria opera di dichiarazioni d’amore per Napoli,sentita tutto sommato come patria adottiva,(...)".° (Cfr. FARNETTI, Monica. Anna Maria Ortese. Milano: Mondadori, 1998, p. 98). 
Ha partecipato intensamente alla vita della città e ha integrato il gruppo di intellettuali con il quale ha lavorato nella rivista Sud, una pubblicazione quindicinale di letteratura e arte, degli anni 1945/1947, la quale ha avuto un importante ruolo per il progetto di rinnovamento culturale che si voleva all’epoca. Anna Maria Ortese ha rappresentato un'intellettuale in lotta contro i problemi affrontati dalla città per riscattare l’importanza del Sud d’Italia.

 

Ma la particolarità della narrativa della Ortese  si basa sulla sua necessità di  verità e di sincerità  oltre a quella  di trovare un luogo fisico in cui “osservare”. E in Il mare non bagna Napoli  il luogo fisico da osservare è Napoli. Il senso di verità e di sincerità, tipico della sua attività giornalistica, viene però accettato dalla letteratura in un modo del tutto personale: per la scrittrice “osservare” non significa sempre descrivere ma usare  sensibilità e carità umana. Perciò le sue pagine tipicamente di stampo  giornalistico  diventano letterarie acquistando  valore di verità poetica. 
Dopo aver esordito, alla fine degli anni Trenta, con il volume di racconti Angelici dolori (scoperto e fatto pubblicare da Bontempelli), il silenzio letterario di Anna Maria Ortese durò dieci anni ossia fino alla pubblicazione dei due volumi degli anni Cinquanta. E  Vittorini nel 1953 nel risvolto del libro della Ortese: ”Sulla strada che si aprì con quel libro essa ha vagato per dieci anni come una sonnambula. E’ stata una zingara assorta in un sogno. Ma ora si è svegliata, si è fermata, è Napoli di tutta la sua vita ch’essa si vede intorno, presenza e memoria insieme, e riflessione, pietà, trasporto, sdegno”.
 https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/236x/cb/de/d2/cbded2c062f36740f34300a3863f5b19.jpg
"Il mare non bagna Napoli"descrive in cinque racconti una Napoli da girone dantesco, infernale e derelitta, animalesca e primordiale, indifferente e morente. I primi quattro "Un paio di occhiali"
"Interno familiare""L'oro a Forcella" e "La città involontaria", sono di una surreale crudezza, in una Napoli così vissuta dall'autrice: "Una miseria senza forma, silenziosa come un ragno, disfaceva e rinnovava a modo suo quei miseri tessuti, invischiando sempre più gli strati minimi della plebe, che qui è regina".
E il racconto autobiografico conclusivo "Il sonno della ragione"è un attacco frontale ai suoi giovani amici, gli scrittori napoletani, un'accusa spietata di vacuo intellettualismo piccolo borghese, con tanto di nomi e cognomi. I suoi fratelli indignati la ripudiarono, e lei li amò fino alla morte.
Il mare non bagna Napoli è  un’immagine articolata e multiforme della città popolare, una specie di  viaggio sociale il cui apice è proprio Il silenzio della ragione: dai sottoproletari emarginati dell’ex caserma dei Granili ai piccoli borghesi del Gruppo Sud. Nei cinque capitoli si passa  dalla finzione alla realtà, dalla letteratura al giornalismo, dall’astratto al concreto, e tutto  contribuisce  ad alimentare il genere ibrido della raccolta che la critica, nel corso degli anni, non è mai riuscita ad inquadrare in un unico genere.
http://www.z3xmi.it/viewdbfile/Libri%3A5500/il+mare+non+bagna+napoli.jpg

Scrive Raffaele La Capria  "comunque pochi scrittori - questo è sicuro - hanno saputo raccontare Napoli come la Ortese. Il suo è uno sguardo da visionaria che la porta al di là del realismo apparente"

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MA ANCHE ALTRI BLOG....CI SPINGONO AD AMARE I LIBRI...













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L’arte dello scrivere
 





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12 fiabe....La Sirenetta di Andersen...INTERPRETAZIONI...

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IL LOGO...ANIMATO
QUI SI VISITA LA PAGINA DEDICATA AL GRUPPO...CON TUTTE LE NOVITA'...

LA CARATTERISTICA DI QUESTA ENTUSIASMANTE INIZIATIVA....???

Ogni mese, ognuna di noi , partendo da un racconto / fiaba ha creato  qualcosa che immediatamente potesse ricordare....un  personaggio più amato, quello che ha ispirato di più, un paesaggio…
Si è utilizzata una varietà di tecniche,  colore, supporti...insomma  Libertà assoluta

ECCO l’elenco delle fiabe che LA CURATRICE DELL'INIZIATIVA  HA SCELTO E PROGRAMMATO 


 12 fiabe per 12 mesi

21 settembre - Il piccolo principe- Antoine de Saint-Exupéry
19 ottobre- Alice nel paese delle meraviglie- Lewis Carrol
16 novembre- Il soldatino di piombo- H.C. Andersen
21 dicembre - la bella addormentata nel bosco- Charles Perrault
18 gennaio - Hansel e Gretel- F.lli Grimm
15 febbraio- Il principe ranocchio -F.lli Grimm
15 marzo- Cappuccetto rosso - Perrault
19 aprile- Cenerentola- F.lli Grimm e Perrault
17 maggio- Biancaneve e i 7 nani- F.lli Grimm
21 giugno- Peter Pan- James Matthew Barrie
19 luglio- Peter rabbi- Beatrix Potter
16 agosto - La sirenetta- H.C. Andersen



IN QUESTO POST INDICO  ANCHE L'INSIEME DELLE PARTECIPANTI....PRIMA DI TUFFARMI NEL MONDO DELLA SIRENETTA, ultima fiaba analizzata, studiata, rappresentata...

BOGOMILLA http://bogomillahoppkids.blogspot.it
ANNA http://annaeilsuoblog.blogspot.it
ELENA http://serendipityofficinadelleidee.blogspot.it/
ROSA http://rosamerliza.blogspot.it/
SERENA http://fantasyjewellery1.blogspot.it/
Emanuela http://ricettefuorifuoco.blogspot.it/
SILVIA http://silviamapetitemaison.blogspot.it/
LISA http://miepiccolecose.blogspot.it/
ANTONELLA http://onceadisney.blogspot.it
AMELIA https://www.facebook.com/pages/Maestra-Ami/1419715174918720
ANNA G. http://theroomsofmylife.blogspot.it/
SIMONETTA  http://letturesenzatempo.blogspot.it/


Leggendo la versione originale de La sirenetta di Hans Christian Andersen (1805-1875), ho scoperto un meraviglioso viaggio di tras-formazione esistenziale (nutrito dall’atmosfera culturale del Romanticismo), che ha implicazioni ben più complesse e attuali della semplificazione sentimentalistica giunta fino a noi.
Pubblicata nel 1836,"La Sirenetta"è tra le fiabe più conosciute e amate della storia.Il suo mito,uscito dal genio e dal cuore del favolista Ans Christian Andersen(1805-1875,figlio di un ciabattino),non conosce confini o tempi continuando con il suo inarrestabile successo e commuovendo ancora migliaia di bambini e non solo.
 


 Lo scrittore danese si ispirò alla fiaba di "Undine" (1811),grande capolavoro dell'epoca di Friedrich La Motte Fouqué (1777-1843,favolista tedesco) dove una sirena sposa un cavaliere per avere un'anima immortale. Andersen però la portò verso una "strada più conforme alla natura e più divina".

"È l’eroina ribelle e sognatrice diPiccole Donne, Jo March, che in un passo del celeberrimo libro descrive al meglio, con una semplice e brevissima allusione, il successo e la diffusione di cui godettero già dal primo Ottocento i racconti romantici Undine e Sintram,le due opere più conosciute del barone Friedrich de la Motte Fouqué",
 
 ...scriveCristina Babino nel postUndine. Le molte fortune di uno spirito d'acqua, e la fiaba La Sirenetta di Andersen sembra  abbia preso spunto almeno in parte da questa opera narrativa.
Complice anche il grande movimento culturale che imperversò in Danimarca fin dagli inizi dell'ottocento,il Romanticismo,che pose in questa nazione come sua caratteristica "l'elemento religioso".

 ...il racconto di Andersen...

Alla Sirenetta, principessa del regno del Mare, è concesso visitare la superficie per il proprio quindicesimo compleanno. In questa occasione si innamora di un principe comandante di una nave che viene affondata da una tempesta. Lo salva dalle onde minacciose  e lo porta a riva. Tormentata dal desiderio di diventare umana per stare accanto a lui e acquisire un'anima immortale (non concessa alla sua specie, destinata con la morte a trasformarsi nella spuma del mare), compra dalla Strega del Mare una pozione per avere delle gambe in cambio della propria voce. Le viene tagliata la lingua, e ogni passo sulla terra sarà come camminare sulla lama di un coltello. Se riuscirà a conquistare l'amore del principe, potrà avere un'anima immortale, altrimenti si dissolverà in schiuma. Riesce a essere accolta alla corte del principe, che però la considera una sorella minore, e decide invece di sposare la principessa che lo ha ritrovato sulla spiaggia il giorno del naufragio. La Sirenetta rifiuta il consiglio delle sorelle di uccidere il principe con un pugnale magico che le permetterebbe di tornare sirena, e si dissolve in schiuma. La schiuma evapora e la trasforma in spirito dell'aria, forma nella quale le è permesso piangere.
 

...nella bella sirenetta convergono tanti elementi ...la vena romantica, ovvero l'amore, il sentimento più grande che esista, ma visto qui anche come sacrificio; la sirenetta per amore del principe è disposta a rinunciare alla sua natura,alla sua voce e sopportare gli aghi invisibili sotto i piedini che le provocano dolori indicibili.
L'elemento religioso, Andersen fervente cattolico non poteva lasciare la protagonista dissolversi come spuma nel mare ma la fa resuscitare come "figlia dell'aria" grazie ad un gesto di bontà.
Il carattere del magico seppur sottolineato,non risulta assolutamente come punto focale della vicenda,anzi appare come un motivo "isolato".Ciò presenta questo tipico velo di tristezza e crudeltà che accomunano tutte le fiabe del danese e che ce le rendono molto più vicine alla nostra natura che allontanate nel mondo del fantastico.

Dal mare al cielo passando per la terra, il viaggio esistenziale della sirenetta può ricordarci che la libertà vera nasce da un profondo, sofferto e rischioso percorso di trasformazione di sé, non dallo “scegliere”  il conformismo più rassicurante o vantaggioso, da un impegno a capire e fare “la cosa giusta”, che possiede un valore intrinseco.
Nella speranza di allontanarci a nostra volta culturalmente da un mondo in cui ancora troppo spesso, in varie forme, le donne rinunciano alla voce, e gli uomini si tappano le orecchie.

 


 VI CONSIGLIO.. RIFERIMENTI INTERESSANTI

La Sirenetta di Andersen: finale e messaggi originali 

http://colorarelavita.blogspot.it/2012/09/la-sirenetta-di-andersen-finale-e.html

 

Hans Christian Andersen, una vita da favola



La Sirenetta di Oscar Wilde



Sofia Coppola, regista, rilettura della favola di Andersen



 

LEGGERE E' ROCK, RUBRICA "PORTA UN LIBRO CON TE 11" , Eric Clapton , la sua AUTOBIOGRAFIA e Tears in heaven e la autobiografia

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L'autobiografia. Leggere è rock



PER LA RUBRICA  PORTA UN LIBRO CON TE  

 l'icona del rockEric Clapton e la sua Autobiografia

 L'autobiografia di Eric Clapton mi ha colpito molto soprattutto perché comincia dal racconto dell'infanzia dolorosa, scritta nel 2007, pubblicata in Italia da Sperling & Kupfler nel  2008,   è  tanto poco letta da essere ora reperibile a prezzo stracciato  sulle bancarelle. L'ho trovata  e acquistata per pochi euro e l'ho letta in tre - quattro giorni. Anche se il libro è  tradotto male e scritto un po' così... ha secondo me , comunque, una straordinaria intensità.

https://bsbeta.wordpress.com/2008/03/04/eric-clapton-autobiografia/

Tra lusso e dolore sotto il segno del blues, un'accurata cronaca della vita dal  PERIODO DEI SUPERGRUPPI alla RINASCITA SOLISTA alla   SPINTA PER TORNARE AL BLUES...fino ad oggi

CON UN CLICK ...tutti pazzi per Clapton




CON UN CLICK ...IN EVIDENZA 
IL SUO LATO SPIRITUALE

CON UN CLICK ... "L' autentica leggenda del rock-blues,  si racconta da cima a fondo, col tono asciutto di chi non avverte nessun bisogno di magnificarsi."

  SU ANOBII...PARERI CONTRASTANTI

SU STORIE DI LIBRI...una vita di incroci e partenze per un  musicista di blues
 

 Dopo la lettura, si ha la sensazione che molto di ciò che è noto su di esso, sia solo la punta di un iceberg.


IL MIO MONDO DELLA LETTURA, LA RUBRICA 30 SETTIMANE....DI LIBRI #27: “Le ali della vita” di Vanessa Diffenbaugh

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IL MIO MONDO DELLA LETTURA CON LA  LA RUBRICA 30 SETTIMANE....DI LIBRI #27
di  Vanessa Diffenbaugh



4 Copertine diverse.

4 Ciondoli Diversi

4 Significati.
Noi  lettori sceglieremo  il preferito:
Lucchetto: Fedeltà

Farfalla: Libertà

Cuore: Amore

Gabbia: Coraggio di cambiare

 Maggio... in libreria


LA CRITICA 


«Vanessa Diffenbaugh ha colpito nella mente e nei cuori dei lettori.»
«La Stampa»

«Un'autrice fenomeno.»
«Vanity Fair»

«Vanessa Diffenbaugh affronta temi profondi e dolorosi senza perdere la leggerezza dello stile.»
«Il Piccolo»

«Una narratrice incantevole.»
«The Washington Post»



QUI     UNA BUONA RECENSIONE 




QUI     UNA RECENSIONE MOLTO SENTITA 
 

QUI ...un solo e semplice abbraccio ...scaccia  dal cuore uno dei mali più grandi, devastanti e silenziosi...la solitudine!

Giro d'Italia Letterario 17 agosto: a Bari con Carofiglio, Né qui né altrove , storie cariche di sentimenti

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INIZIATIVA  DI LETTURA
 UN' ALTRA TAPPA,  BARI  CI ATTENDE...
 
Gianrico Carofiglio
Né qui né altrove
Una notte a Bari
“Contromano”,
Laterza, 2008 


Cos'è l'amicizia, per l'autore:" L'importante tra amici non è quello che si dice ma quello che non c'è bisogno di dire"

In Né qui né altrovelo scrittore traccia  una mappa degli affetti ispirata dai compagni di liceo a Bari. L’idea originale di Gianrico Carofiglio era quella di redigere, attraverso la spinta della rimpatriata notturna, una specie di guida per raccontare la città, com’era e com’è, descrivere in modo ironico luoghi, locali, sapori baresi… Ma durante la stesura - ha affermato lo stesso autore - "i personaggi e i sentimenti hanno preso il sopravvento e la guida si è trasformata in un racconto sull’amicizia, sui ricordi di una vita, sullo spaesamento" divenendo l’opera più autobiografica e intimista scritta sino ad oggi dal papà dell’avvocato Guido Guerrieri e del filone legal thriller italiano. 
Storia di un'amicizia al maschile che attraversa il tempo e pone i protagonisti di fronte all'esigenza di archiviare un modo d'essere. Darsi l'uno all'altro con verità e con quella parte di dolore che l'esercizio della verità comporta.

"Mi chiesi quali altre cose su me stesso stavo per imparare" riflette l'io narrante, dopo che l'amico Paolo Morelli gli ha appena detto che, terminata la notte trascorsa ad attraversare la Bari della giovinezza e dei ricordi comuni, non si rivedranno mai più. 

"Perché, a parte il fatto che io non ho nessuna voglia di vederti di nuovo, ti informo che esiste la tristezza, esiste l'infelicità, le cose finiscono, si invecchia, ci si ammala e si muore. E ho una notizia: capiterà anche a te".


Superato l'incipit dei primi capitoli,la città DEVE  farsi da parte,  ritornare a essere il contenitore dei sentimenti. Anche  quello dell'amore, forse per la prima volta così dichiaratamente evocato da Carofiglio nelle sue pagine. 
"Ti amo. Sono un idiota ma ti amo". Anche l'io narrante, in molti tratti e circostanze combaciante con l'autore, ha un segreto di cui liberarsi. E la sua dichiarazione d'amore è per la ragazza francese lasciata andar via insieme con i sogni di un'esistenza diversa, avventurosa, in quell'altrove sconosciuto che dà il titolo al romanzo.
Ma Carofiglio nello scorrere della trama ammonisce: "Chi lo sa quanto i nostri ricordi dipendono dal ricordo e quanto invece dalla fantasia e dal nostro bisogno di confortarci. Con le bugie, con le illusioni, con le storie. Ma forse questo riguardava solo me".

ALTRI CONTRIBUTI




....Bari  vista anche dalla prospettiva gastronomica della focaccia
IN   Sulla mia scrivaniaPaola Borraccino così:"Sembra scritto sulla scorta della consapevolezza che ormai il pubblico compri qualunque cosa sia firmata col marchio di fabbrica Gianrico Carofiglio.."


In LIBRI DA LEGGERE  ..un libro veramente bello, che si fa leggere tutto d’un fiato, che si abbandona a fatica e nel quale si finisce inevitabilmente per ritrovare qualcosa del proprio vissuto, alcune sensazioni e pensieri che prima o poi ci hanno occupato la mente
 

Venerdì del libro, 22 agosto rileggendo Il perduto amore di Mario Tobino

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 VENERDI' DEL LIBRO CON MARIO TOBINO INSIEME 
un appuntamento per riaffermare che ...  leggere è libertà come amare o sognare...  
 - Pennac -

 
Ho riletto Il perduto amore,uno dei romanzi scritti dall'autore lucchese (QUI NOTIZIE AUTOBIOGRAFICHE), nel mio rifugio in Umbria, al fresco della passeggiata della Rocca

Mario Tobino, Il perduto amore, Mondadori, 1979

PREMIO STREGA
La prima edizione Mondadori uscì nel gennaio 1979 , seguita da una seconda edizione nel febbraio successivo. L’ho voluto riprendere in mano per una seconda lettura, perché Tobino graffia lo specchio dell’anima. Ma cosa è il perduto? Anche in amore può esserci il perduto? O c’è soltanto il vissuto? Forse è il vissuto che ci distanzia dal perdere gli amori e la vita. Così Pierfranco Bruni :”La letteratura è uno scordare e un ritrovare. Un dimenticare e un recuperare. Lo sguardo degli occhi sconfitti dallo specchio nella letteratura di Mario Tobino sono una costante esclamazione. Mai un interrogativo. Dirà in alcuni versi dedicati alla madre in una poesia “A mia madre”: “ero forte solo di pensieri,/ ricco solo d’amore”

AMORE...

Editable pictureL’amore di cui parla Tobino nasce in tempo di guerra sul fronte libico,la tragedia accade all’inizio, quando casualmente, nell’ospedale da campo 129, da una pistola di un tenente medico parte un colpo che uccide  un altro tenente medico. È l’occasione perché la bella, fatale”infermiera contessina Romana Augusta Ludovisi, detta  Dedé, e il protagonista, il tenente medico Alfredo, quello che delle volte zoppica un poco”, si conoscano. Alfredo (ancora una volta  personaggio autobiografico: con i propositi che si era sempre fatto di non sposarsi per dedicarsi alla sua passione letteraria”) è stato trasferito da pochi giorni al campo,  dal fronte marmarico, dove le schegge di una bomba lo hanno ferito, e mal si adatta a quella vita così differente: mancano il calore, la solidarietà, la confidenza presenti invece sul campo di battaglia: Non mi ci ritrovo in questo ospedale.” 
Soltanto quando fa visita ai feriti, che hanno combattuto come lui sul fronte, il suo carattere si trasforma e diventa gioviale, pronto  a scoprire e a sollevare l’animo dei soldati. Ritroviamo in questo ritratto il medico Tobino che visita le sue malate febbricitanti di follia nel manicomio di Lucca, amorevole e solidale, come era stato anche il tenente medico Marcello ne Il deserto della Libia

Eccoti Tobino, mi colpisci ancora per la sincerità della tua commozione e per la spontaneità del sentimento che ci trasmetti in ogni circostanza mediante la tua scrittura. Essa d’improvviso ne riluce, sprigionando quel personale baluginio in cui si fondono narratore e poeta:

 “Il tenente Alfredo era ogni mattina preso come da una ventata di frenesia e gli si sprigionava l’immaginazione. Questi erano gli uomini che lui amava, coi quali – persino in quella amara guerra – poteva nascere una sorta di felicità. 

Eccoti per il pensiero per  Dedé: Ancora mai si era detto se l’amava. Non si possono differenziare le due tue attitudini; esse sono alla base della singolare qualità della tua scrittura, sempre e pronte ad emergere e ad imporsi al lettore. 


Ma è così?  L’amore che nasce  deve restare nell’ombra, segreto?

 Erano anche tempi così intessuti, abitudini chiuse, il sesso una paura, la donna rinserrata, le confidenze spinose; la regola era darsi del lei.” 
Tra le tribolazioni della guerra, le atrocità e la tristezza dei sentimenti, tu Tobino scegli, dunque, di far sbocciare il fiore tenero dell’amore. Lo prendi per mano,  ne hai gelosa cura. Ne accudisci il seme, ne vigili trepidante la crescita: 

I suoi soldati, laggiù a Tobruk, erano ormai come in un cannocchiale guardato alla rovescia. Nella coscienza di Alfredo regnava, cioè imperava, la crocerossina Ludovisi.” 


Eppure la guerra non è lontana. Un aereo nemico mitraglia il campo, facendo dei feriti.


La critica   mi ha ricordato che il perduto amore, questo delicato sentimento che affiora lungo il romanzo e lo addolcisce dalle miserie della guerra, acquista  un significato ben più alto di un occasionale innamoramento di due individui che s’incontrano e si corteggiano. Esso si pone come il punto di riferimento più alto, il solo che possa avvilire, se non addirittura annientare, gli orrori della guerra, il solo che resti nel tempo a risarcire ed illuminare una vita: 

L’amore tra la Dedé e Alfredo continuava; era divenuto diafano. A lungo si guardavano, si sorridevano, si sfioravano le mani. I baci erano radi; le labbra si premevano leggere. I corpi non si avvinghiavano.”  

 E poco più avanti:

 “E allora spontaneamente accadde che si misero a sognare un ritorno in Italia, dove finalmente si sarebbero potuti a lungo, a lungo abbracciare. 

 Il ritorno in Italia avviene grazie alla intercessione della infermiera Ristori, bella e giunonica, dallo sguardo assassino”, di cui è innamorato il colonnello Guidiccioni, che questa volta aiuta Alfredo a rimpatriare. Faranno il viaggio insieme.

 Sopra tutto sta   il perduto amore. Tobino tratta l’amore (è nato un fiore sentimentale”) con pudicizia, e più che l’amore dei sensi, è  l’unione dei sentimenti che egli esalta. Anche nel momento in cui il legame tra Alfredo e Dedé si attenua, egli mantiene quel filo tenero e discreto che mette in comunicazione due anime. Quando l’amore sarà finito:  

Ora tutti e due hanno i capelli bianchi, le rughe, spesso un mesto sorriso. Se per caso un giorno si incontrassero l’autore pensa che andrebbero l’uno verso l’altra guardandosi senza alcun rancore.”


 COSA RESTERA' ??
 
Per Tobino  la letteratura è qualcosa di più profondo che ha radici nell’anima e richiede una vita di sacrificio, una dedizione assoluta. Egli  affiderà alla letteratura la sua vita. Vivrà, solitariamente, nella sua cameretta del manicomio di Lucca, avendo per compagni le sue letture e i personaggi dei suoi romanzi; si circonderà di pochi privilegiati amici coi quali discorrerà di arte. Il perduto amore”è, così, anche, la determinata dichiarazione della propria irrevocabile scelta, della propria vocazione e del proprio sacrificio. Così che, nel momento in cui Alfredo decide di non rispondere ad una lettera di Dedé, che finalmente dichiara di amarlo, Tobino scrive: 

Avrei inoltre messo a rischio il mio lavoro, quello che davvero mi cuoce, messo in forse la libertà, non più secondo il mio piacere stare solo oppure in mezzo a una vociante compagnia, essere triste o allegro come mi viene. Quello che amo è non dipendere da nessuna convenienza, compagno di ricchi o poveri come la mia anima detta.”


La raffinata arte di scrivere…di Severgnini per il 7° Appuntamento di Porta un libro con te

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Per il 7° appuntamento con la mia Rubrica Porta un libro con te, (QUI TROVI GLI  APPUNTAMENTI PRECEDENTI)

...la raffinata arte di scrivere…di Severgnini



 La vita è un viaggio, Severgnini B., 2014,Rizzoli  (collana Saggi italiani)

"...non è il lettore che non capisce, è lo scrittore che non si è spiegato”....e bravo Severgnini

Il giornalista  dedica idealmente  il suo nuovo libro-saggio
 “a tutte le ragazze e i ragazzi italiani, tra dieci e cent’anni


http://www.beppesevergnini.com/wp-content/uploads/2014/05/la-vita-e%CC%80-un-viaggio-2-copia-300x200.png


Nel seguire le analisi critiche a questo originale (come sempre) libro di Severgnini, il giornalistaAlberto Infelise  su La stampa, invita :” ...per guardare a questo nuovo viaggio di Beppe Severgnini bisogna partire dalla fine. Nel «Sipario», il capitolo che chiude La vita è un viaggio, c’è l’audace invito ad abbracciare una vertigine, un paradosso, forse una metafora, o ancora una scusa. La sindrome del colonnello Kurtz, quello di Cuore di tenebra di Conrad, lo stesso (o quasi) di Apocalypse Now di Coppola. È la personificazione dell’uomo (della società) che perde se stesso per incapacità di aprirsi al mondo che cambia, alle proprie sconfitte, accecato da un momento di grandezza che la prosopopea ha reso infinito. Il viaggio di Severgnini appare esattamente questo: la fuga dalla fuga, il disperato tentativo di lasciare il ridotto del Mekong nel quale (come Kurtz) troppe volte il nostro mondo sembra si sia rinchiuso”.


Chi mi ha spinto a leggere questo viaggio (perché si legge in un fiato!!!) è stato Matty,
 
uno dei miei figli, pronto alle novità librarie di vario genere ed infatti mi ha detto:"...vedrai che ti piacerà...'sto giornalista esamina  la maniera con cui altre nazioni e persone affrontano i problemi con cui tutti dobbiamo fare i conti, e trova suggerimenti per migliorarci... un viaggio  anche quello all’interno di un buon libro, di una bella canzone o di un film affascinante, e La vita è un viaggioè ricca di citazioni e di suggerimenti per chi legge,  da Bruce Springsteen a Cesare Pavese, da Alice Munro a Martin Scorsese, da Lucio Dalla e Jackson Browne a Don Lorenzo Milani ..."
.
Scrive l’autore:“La vita è un viaggio, e gli italiani viaggiano soli”..... 

UNO STRALCIO... 

 "Com'è difficile trovare chi ci guidi, chi ci incoraggi, chi ci accompagni. La politica parla di se stessa in maniera compulsiva (i nuovi arrivati saranno diversi dai predecessori?). La classe dirigente, non da oggi, sembra diretta verso destinazioni misteriose.
Faticano la scuola e l'università, private di risorse, colpite da abbandoni e calo d'iscrizioni. Anche il mondo del lavoro – soffocato di regole, schiacciato da imposte e contributi – sta perdendo la funzione formativa. Ogni tentativo di inserire nuove forze – non soltanto giovani – si scontra con difficoltà legislative e burocratiche, come dimostra la fallita riforma dell'apprendistato. Reggono le associazioni e il volontariato, per fortuna. Resta la famiglia: fin troppo. Non è normale che il 61 per cento dei giovani tra i diciotto e i trentaquattro anni – quasi sette milioni di persone viva  ancora con almeno un genitore. Non è tranquillizzante vedere madri ansiose e padri spiazzati, distratti o in libera uscita.
Ecco com'è nato questo libro: dalla speranza di poter essere utile. Non prometto soluzioni. Offro solo alcuni suggerimenti sul bagaglio, qualche indicazione sui mezzi di trasporto, un paio di avvertimenti sui compagni di strada.

Non aspettatevi resoconti di traversate avventurose. Parleremo invece di scelte, di atteggiamenti, di comportamenti, di insidie da evitare e di consolazioni a portata di mano. Di ciò che c portiamo dietro, e magari potremmo abbandonare. Di quello che abbandoniamo, e invece dovremmo portare con noi.
Mi illudo, dopo tanti anni di arrivi e partenze, d'aver sviluppato una certa competenza. La prima regola – condivisa da viandanti ed esploratori di ogni epoca – può sembrare banale: viaggiate leggeri. Vale anche per il viaggio che vi propongo. Per partire non servono troppe parole: ne bastano venti, come i chilogrammi di bagaglio consentiti in aereo (classe economica). Venti vocaboli in grado di accompagnarci e orientarci.
Cosa portare, dunque?
Un atlante, per cominciare. Serve a capire come arrivare dove vogliamo arrivare. Ci sono molti modi di attraversare gli anni. C'è chi ama lasciarsi trasportare, come un turista; e chi vuole scegliere, come un viaggiatore. C'è chi s'affida a un gruppo e a un capo, e si limita a fare ciò che gli viene detto. C'è invece chi osserva, ascolta, annusa, assaggia, tocca: e impara a ragionare con la propria testa.


 
Abiti mentali adeguati. Per esempio, la convinzione che sintesi e precisione siano qualità indispensabili, in questi tempi affollati. Viva la brevità e l'esattezza, dunque. Spontaneità e pressappochismo sono cose diverse: la prima attira il prossimo, il secondo lo respinge.
La consapevolezza che ognuno di noi – non importa quanto adulto, quanto affermato, quanto maturo – ha bisogno costante di incoraggiamento, insegnamento, ispirazione. Il mondo è pieno di cattivi maestri; ma ne esistono di ottimi, nella scuola e nel lavoro. È bello frequentarli e conoscerli di persona. Talvolta, però, è sufficiente leggerne e imparare da loro.
La capacità di rinunciare, quando occorre. Oggetti, abitudini, idiosincrasie, passioni che diventano ossessioni: sono molte le cose di cui rischiamo di diventare schiavi.
La gioia di impegnarsi con gli altri e, magari, per gli altri. La saggezza di trovare soddisfazione nelle cose semplici.
L'intelligenza di capire che ogni generazione deve far spazio alle generazioni successive. Chi viene prima deve lasciare il passo a chi viene dopo, i lamenti davanti alle novità sono patetici e prevedibili.
La grazia nell'uscita di scena, sapendo che nessun viaggio e nessuno spettacolo – neppure il nostro – dura per sempre.
Queste riflessioni non sono destinate a una categoria o a una generazione: siamo tutti viaggiatori della vita. Viaggiatori solitari, in Italia più che altrove. Forse perché siamo individualisti, intelligenti, intraprendenti, e l'idolatria dell'io che domina questo inizio di secolo ha trovato, presso di noi, terreno fertile. O forse ci sono altri motivi. Per esempio, il sospetto verso tutto ciò che è comune e condiviso. Un sospetto che furbi e disonesti hanno coltivato e sfruttato per i loro scopi.
Da molti anni – da quando faccio il giornalista e lo scrittore – provo a capire come siamo fatti noi italiani. L'ho raccontato in migliaia di articoli, centinaia di incontri e una dozzina di libri, in Italia e all'estero. Non ho mai detto – e non dirò mai – come dovremmo essere. Ma cosa potremmo diventare, questo sì."



CHI CE LO CONSIGLIA...

 

Ti fa sentire in difetto, in maniera piacevole ovviamente, perché vorresti essere lì, nei posti raccontati e descritti con il suo stile puntuale, preciso, e sempre piacevole


"..Beppe Severgnini cerca di comprendere il nostro tempo, guardando alla vita sempre con il bicchiere mezzo pieno. Siamo stanchi, scrive, di parlare solo di crisi e di fallimenti, è ora che i giovani si diano una mossa per contrastare l’immobilismo italiano. In questo libro prende spunto di volta in volta una parola e ci scrive sopra

 "...suggerire strategie grandi e piccole per compiere il viaggio in modo positivo, affinchè che non si trasformi nè in una comoda scappatoia nè in un momento complicato e pericoloso....




"il "capitolo 14 - Resilienza" che viene definita (tra le tante definizioni) come "la capacità di affrontare le avversità, di superarle e rimanere se stessi".
 
Parola d'ordine è quindi "cambiamento", che viene inteso anche come innovazione e ribellione come viene citato nel "capitolo 9": "L'umanità cambia per ribellioni e incomprensioni. Se i figli facessero tutto quello che vogliono i genitori, il mondo sarebbe indietro di secoli (nonché estremamente noioso)".

Venerdì del libro 29 agosto con i Soggetti smarriti (Questi non sono i Promessi sposi) di Mazzardi

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PER L'ULTIMO VENERDI' DI AGOSTO, L'APPUNTAMENTO CONQUELLI DEL  VENERDI' DEL LIBRO, MI TROVA ALLE PRESE CON UNA SINGOLARE PROPOSTA DI LETTURA-



Il testo è di Enrico Mazzardi, Soggetti Smarriti, Ass. culturale «Il Foglio», 2011  


 Mi ha parlato di questo libro la mia amica Ernestina
 

  che ha assistito a Brescia alla presentazione e mi ha fortemente insuriosito:" Sai, Rezzato, Tridente: sfida a suon di racconti, 26 giugno 2013
Enrico Mazzardi, l'autore, è un giovane nato  nei dintorni di Desenzano del Garda nel 1983, scrive testi di varia lunghezza, a seconda dei casi, come piace a me!!!. E questo originle suo primo libro, Soggetti smarriti (Questi non sono i Promessi sposi)è da leggere!"



Potrebbe interessarti: http://www.bresciatoday.it/eventi/cultura/rezzato-tridente-26-giugno-2013.html
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Il libro...come me lo ha presentato la mia amica

L'autore  si è fatto una domanda che incuriosisce chi ama   la lettura: ma i personaggi, quando il romanzo finisce, che cosa fanno?  Mazzardi ha provato a mettersi nei loro panni e ha stabilito che la loro vita, una volta concluso l’impiego come personaggi, non dev’essere facile.
Per Mario Abbondi, meglio conosciuto con il nome di Don Abbondio – personaggio che ha interpretato per alcune centinaia di pagine, su ingaggio del signor Manzoni-, è dura andare avanti quando tutti, in paese, lo additano ridacchiando. “Quel libro mi ha rovinato la vita”, confessa, depresso, lui
 
 
I personaggi letterari su cui c’intrattiene Mazzardi, per quanto riconoscibili nel nome,   sono solo un pretesto, uno stratagemma per imbastire storie curiose, insolite e anche un po’ sconclusionate, quasi al limite del nonsense, un condimento che per altro, spalmato delicatamente e a piccole dosi sulle pagine di un testo letterario, ha spesso il merito di creare "una vertigine balsamica, un piacevole stordimento".




Giro d'Italia Letterario 30 agosto...Piero Chiara ed Il piatto piange...

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CON IL Giro d'Italia Letterario, il    30 agosto...SONO A LUINO, Piero Chiara   illustra il proprio romanzo 
Il piatto piange... 
 
 
Questo romanzo ha le  caratteristiche proprie del neorealismo, con un’ambientazione della vita di paese, nell’arco temporale  fra le due guerre, di  rilevante importanza sociologica.
E’ un mondo chiuso, direi  addormentato:  la vita scorre ancor più monotona anche per effetto del regime fascista che tende a impedire ogni novità. In quest’atmosfera di una stasi  quasi logorante, gli accaniti giocatori di poker o chemin de fer trovano nel gioco delle  carte un’evasione, quasi una forma di "primordiale ribellione". Gli unici eventi, quindi, che si staccano dalla monotonia  quotidiana  sono le interminabili partite, con le battute nei confronti dei perdenti, oppure le avventure boccaccesche, anch'esse una specie  di gioco per rivendicare la propria caratteristica  di uomini fondamentalmente liberi.
Si entra in un clima ovattato, fra le montagne e il lago, vengono delineate diverse storie, una varietà di personaggi, ognuno con pregi e difetti, ma soprattutto con caratteristiche del tutto proprie.
 

 
Troviamo così il biscazziere Sberzi, disposto perfino a giocare se stesso, Mammarosa, la tenutaria del bordello del paese, descritta quasi con  tenerezza come una delle istituzioni del luogo, l’anonimo Camola, se pur nell’intimo misterioso, e il Casanova  Tolini.
E’ tutto un mondo proprio di un’epoca e che verrà spazzato via dalla seconda guerra mondiale e dalla Resistenza, tanto che i due personaggi più tipici e anche più forti, il Camola e il Tolini, moriranno in circostanze diverse, ma in seguito a una zuffa con i tedeschi.


Questo romanzo l'ho riletto a distanza di anni  per questa iniziativa del Giro d'Italia Letterarioe vi ho ritrovato, come sempre,  un’estrema piacevolezza, come riscoprire una diversa civiltà, ora perduta, una specie  di archeologia letteraria che Piero Chiara ha saputo e voluto farci conoscere.
Egli è narratore autentico con il gusto diretto del racconto ed è rimasto tra i pochissimi  scrittori  italiani che ha  l’impareggiabile  grazia  del narratore puro: rende semplice e accessibile anche ciò che apparentemente risulta complesso,  incanta  con garbo il lettore fin dall’inizio, tiene viva la sua attenzione e lo intrattiene  piacevolmente per tutta la durata della lettura.
 Il teatro dei suoi personaggi  e lo spazio ideale della narrativa di Piero Chiara è spesso la nativa Luino e dintorni, a lui cara,  o i paesini che costeggiano le rive del lago  Maggiore, all’estremo nord della Lombardia,   vicini al  passaggio di frontiera italo-svizzero.
 
http://www.ininsubria.it/un-tour-nella-luino-di-piero-chiara~A10512


Una chiave universale per  le sue opere letterarie?
  
...per lui scrittore luinese, tutte le cose, gli eventi più banali,  che  accadono in quei luoghi sono  gli stessi che accadono in tutti i luoghi della terra, solo che  lì nel suo mondo, insomma, navigando tra le onde  e lo sfondo del Lago Maggiore, tra  l’affollarsi  di storie dopo storie, Chiara li può osservare con l’occhio limpido e curioso della narrativa  e  diventano “fatti” e in quanto tali sono rigorosamente da raccontare.
 
Raccontare per me” spiegava Piero Chiara “è una liberazione e insieme una verifica, un modo per rivivere le cose e capirle. Quando non avevo ancora ricnosciuta la mia vocazione alla letteratura, la sfogavo raccontando ai miei amici le mie avventure. Non a caso il mio libro fu ascoltato prima che letto da Vittorio Sereni in un caffè di Luino."



Chiara e il  suo laboratorio di scrittura...

Gli amici letterati, scrive Renato Minore,  lo avevano spinto, non più giovanissi­mo, al gran passo del roman­zo. In principio esisteva il grande affabulatore di storie, il provinciale adagiato nel suo vitalissimo ozio, il poeta (ma chi non lo è in pro­vincia?), l'intellettuale di for­mazione  libera, capace di molte curiosità e spigola­ture. Romanzo d'esordio Il piatto piange del 1962 la cui affettuosità critica del lancio è opera di  Vittorio Sereni (convinto che il suo amico d'infanzia dovesse saltare il fosso dell'oralità per cui era proverbiale a Lui­no). Ed emerge il tema di fondo del libro, «il ricantamento, nient'affatto crepuscolare o patetico, della giovinezza», un mondo fra cronaca, saggio di costume e narrazione distesa. E, ciò che più conta, il suo «to­no»: un acido leggero,  tra riflessivo e giudicante, come «il rendiconto amaro di un tempo perduto, di quello che è mancato a una generazione».
Ed ecco  il grande scrittore, pro­piziato da altri scrittori. E gli esiti sono per una volta an­che superiori alle attese:  Chiara ottiene su­bito i tantissimi lettori cui aspirava come naturale allargamento della sua audience da caffè. Tutti compresi nelle atmo­sfere «lacustri» dei personaggi tratteggiati,  nell'affannarsi dei personag­gi stessi tra amori furtivamente colti e piccoli intrighi visti sempre con una specie di vigi­lante bonomia, tasselli dentro una scacchiera dal  fon­do scuro (la vita, il destino, lo scorrere del tempo e il di­sordine delle azioni indivi­duali). Una «commedia uma­na» in cui il narratore entra ed esce con distacco e con li­bertà, con partecipazione, con ironica disponibilità dando  un sen­so,  proprio quello del rac­conto, dell'«ora ti conto un fatto».

In omaggio a suo padre, il  doganiere siciliano Eugenio Chiara,  ben vivo pur se ultranovantenne, nella primavera del 1961 il figlio Piero  volle compiere un lungo viaggio che lo riportò nel borgo delle Madonie, Resuttano, tante volte visitato nelle estati dell’infanzia. Dagli appunti presi nell’occasione venne fuori  un lungo reportage, ricco di ricordi, pubblicato da Vallecchi dal titolo Con la faccia per terra. Dal padre, lo scrittore aveva preso una eccezionale bravura nel racconto orale, che mostrava  volentieri nelle riunioni conviviali, sollecitato dagli amici a rievocare i mille episodi vissuti nel corso di una gioventù spregiudicata, trascorsa nelle cerchie più svariate. In una di quelle serate, alla fine del 1957, tra gli ascoltatori figurava appunto   Vittorio Sereni (coetaneo e amico di Chiara, come lui nato a Luino), che lo spinse a mettere per iscritto le affabulazioni dalle quali era rimasto stregato. Ne scaturirono due racconti in forma di lettera, pubblicati sulla rivista Il Caffè nel 1958 e nel 1959. Fu questo il primo nucleo del Piatto piange, il primo romanzo di Chiara, stampato dalla Mondadori nella primavera del 1962.

"I suoi personaggi, anche se a prima vista grotteschi, stralunati, intrisi di guasconeria , cialtroni da osteria  e dal regno delle bische clandestine, pur allineati non diventano mai macchiette, ma si distinguono e si muovono,  anche per poco e per rapide apparizioni in un abile incastro  della società popolare lombarda, sulle strade della sua  Luino, in paesi più o meno importanti della Valcuvia,  sulle sponde del lago Maggiore  o  nello sfondo di paesi  come  Laveno, Cannobio, Stresa,  Intra  e Arona. Di qui i suoi libri, le sue storie  di cui parla  il romanziere luinese, con accenti spesso brulicanti  e vivi  con una naturalezza sorgiva  di sfumature e di effetti  che scandiscono  storie universali  e comuni a  noi tutti.  I lettori furono colpiti  tra l’altro da una profonda  e sorprendente  scrittura fluida  e godibile, riflessione di storie  spesso calibrate, brevi narrazioni di poche pagine, intrecciate a volte vivacemente comiche, ma capace di comunicare anche dei  comuni sentimenti.



Va subito detto che sulla scacchiera della provincia,  Chiara dispone soltanto pedoni, che muove con precisione, nella convinzione che le vite degli uomini non famosi garantiscano al narratore combinazioni di inarrivabile varietà e interesse. Non soltanto da vicino – come è noto – nessuno è normale, ma tutti custodiscono il loro bravo segreto. In effetti, nelle opere di Chiara si stenterebbe a scovare un personaggio irreprensibile.
Il titolo del romanzo si deve all’importanza conferita al tema del gioco d’azzardo: il libro si apre sulle nottate consumate negli anni Trenta al tavolo del poker, nei sotterranei di un albergo affacciato sul lago. Il tema di fondo è lo scandalo, l’umiliazione del perbenismo, sistematicamente incenerito alla fiamma delle frustrazioni e degli istinti, come già lascia intuire il memorabile incipit : 

«Si giocava d’azzardo in quegli anni, come si era sempre giocato, con accanimento e passione; perché non c’era, né c’era mai stato a Luino altro modo per sfogare senza pericolo l’avidità di danaro, il dispetto verso gli altri e, per i giovani, l’esuberanza dell’età e la voglia di vivere. Nei paesi la vita è sotto la cenere». Si tratterà allora di rimestare le braci con instancabile premura.

   UNO STRALCIO SIGNIFICATIVO...

"COSÌ ANDAVA LA VITA"

"A mezzogiorno iniziammo la discesa per i colli verso Luino...
Non s'incontrava nessuno né per le strade né per i campi; e passando, onde accorciare la strada, tra filari di vigne spoglie, profittammo della solitudine per accosciarci a qualche metro l'uno dall'altro e far quello che avevamo sempre rimandato durante tante ore di gioco.in quella posizione si vedeva Luino a filo terra e la sponda arquata che si slanciava, leggera e vaporosa, nel lago punteggiato di barbagli. Qualche nebbia saliva d'intorno tra i roccoli. E il Peppino, con la sua voce chioccia da tedesco, e stentata per la posizione del corpo, diceva:'Ma tì, ma tì, guarda come l'è pur anca bel a fa sta vita! Giugum, magnum,un quai danée ghe l'èmm semper, lavurum pok o nagòtt, quant ghè de cudegà cudégum, pàssum l'inverno al kalt, d'està 'ndemm a nodà. E adess semm chì a vardà 'l laag cun la bel'ariéta fresca in sui ciapp!' E dopo una pausa per prendere fiato, la sua risata secca di arpia appollaiata, senza eco nell'aperta campagna. Così andava la vita in quei tempi e così andò ancora per anni, da una guerra all'altra, mentre altri fatti, altre gioie e tristezze venivano a complicare l'esistenza di quei giocatori".

da 'Il piatto piange', 1962, Mondadori


...IO LA PENSO COSI'

...  a  questa mia preferenza verso il romanzo di Chiaracredo  non poco contribuisca l’aver scoperto allora come oggi, come sia possibile scrivere di eventi, del tutto normali, in modo semplice, ma efficace.




APPUNTAMENTO - RUBRICA "Porta un libro con te": un classico, Zola e "Roma".

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QUI TROVATE NOTIZIE SULLA RUBRICA 

SETTEMBRE, "Porta un libro con te": 
un classico, Zola e "Roma". 
Autore: Émile Zola
Titolo: Romaedizioni Bordeaux, Roma, 2012

 INDICARE LA LETTURA DI UN CLASSICO VUOLE UNA PREMESSA...D'AUTORE

Il 28 giugno 1981, su l’Espresso, uscì un articolo di Italo Calvino: Italiani, vi esorto ai classici. In esso lo scrittore elencava dei punti a favore della lettura dei classici letterari cercando ANCHE di definirne la natura.

Il classico è nuovo che resta nuovo per sempre

 1. I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: "Sto rileggendo ..." e mai "Sto leggendo ..." 
2. Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli. 
3. I classici sono libri che esercitano un'influenza particolare sia quando s'impongono come indimenticabili, sia quando restano nella  memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale. 
4. D'un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima. 
5. D'un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura. 
6. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
7. I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume). 
8. Un classico è un'opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso.
9. I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti.
10. CLassico é un libro che si configura come equivalente dell'universo, al pari degli antichi talismani.Un livre de chevet, un libro per la vita. 
 
"ROMA" DI E. ZOLA

E un libro per la vita puo' essere considerato quello che emerge dalle  penetranti pagine del diario tenuto da Émile Zola durante le cinque settimane trascorse a Roma nell’autunno del 1894. All'arrivo alla stazione Termini la mattina del 31 ottobre, il caposcuola del Naturalismo si immerse anima e corpo, benché avesse numerosi impegni ufficiali dovuti alla sua notorietà (tra cui un’udienza privata presso il re Umberto I e la regina Margherita), nel “paesaggio locale” della Città Eterna, cercando ispirazione per il suo nuovo attesissimo romanzo: "Roma". 
Questo materiale, secondo la sua abitudine, Zola lo reperisce  in sopralluoghi diretti nella città,   mentre cerca  di ottenere udienza dal papa, maldisposto verso di lui in particolare dal volume precedente Trois villes, Lourdes, che, insieme a tutte le altre opere dell’autore, era stato appena messo all’Indice. 
Il Romanzo ROMA E'  un classico della letteratura europea e appartiene al ciclo delle Trois Villes, assieme a Lourdes e Parigi. Dagli anni Venti mai più pubblicato, ora di nuovo alla nostra attenzione con la  prefazione di Emanuele Trevi, autore nella cinquina dei finalisti del Premio Strega 2012 con Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie).
zione libro "Roma" di Emile Zola
E nella Prefazione scrive Trevi:"Roma rimane uno dei libri più ambiziosi ed enciclopedici dedicati alla nostra città. Zola volle scrivere un'opera capace di contenere in sé un'indagine sui misteri del Vaticano, una memorabile storia d'amore e morte, e addirittura un'affidabile guida turistica alla Roma antica e moderna, alla quale non manca una classica escursione fuori porta alla volta di Frascati».
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«Tante pagine […] quante basterebbero in tempi ordinari a costruire tre romanzi ordinari»:  afferma un Ugo Ojetti atterrito nella sua recensione a Rome, uscita a puntate parallelamente in Francia sul “Journal”e (in versione accorciata) in Italia sulla “Tribuna”
L'autore francese sta di nuovo interessando l'ambito culturale con una eccellente edizione dei principali romanzi di Zola curata da Pierluigi Pellini per i “Meridiani” Mondadori, evidenziando l’importanza di rivedere  l’autore con strumenti aggiornati. infatti si sente l'esigenza di  inoltrarsi in un’opera anche in Francia  dimenticata a lungo, miscellanea di registri ma  avvincente, anche se a  tratti stretta nella morsa dei cliché, più spesso aperta a un’acutissima visione della contemporaneità.


"ROMA"  inizia con l’arrivo nella capitale, nello stesso periodo della stesura, del protagonista, il giovane prete Pierre Froment,pronto a difendere una sua opera ispirata alle tesi del cattolicesimo sociale, La Rome nouvelle, sottoposta all’esame della Congregazione dell’Indice. Il giovane INVITA  la chiesa, diventata sostegno per ricchi e potenti, ad impegnarsi nella trasformazione sociale in atto, affinché siano  i più umili e calpestati a ricevere il suo impegno, e quindi a  Roma cercherà di opporsi alle decisioni della  Congregazione .



Da questo spunto prendono le mosse due vicende basate su una doppia sfibrante attesa: quella di Pierre che, ospite dei Boccanera, antica famiglia della nobiltà papalina, aspetta sia il giudizio della Congregazione sia un sospirato incontro, poi concessogli, con Leone XIII, il papa le cui encicliche sembravano aver incoraggiato il rinnovamento della Chiesa; e quella di una dei Boccanera, Benedetta, che spera nell’annullamento di un infelice matrimonio non consumato per poter sposare il cugino Dario, suo amore d’infanzia.
  
...vicende diverse, una dominata da tensioni concettuali, l’altra ricca  di amori, gelosie, colpi di pugnale e colpi di scena, ma tutte e due raccontate con dinamismo sia effettivo che psicologico. Gli stessi drammi di coscienza di Pierre non hanno sviluppo, il personaggio, che ha maggior consistenza,  è, più che protagonista, prospettiva dominante: ampio spazio a un ricco tessuto di scene, paesaggi e caratterizzazioni,  il vero protagonismo è lasciato alla città.

È un protagonismo che si snoda su livelli di differente spessore: rievocazioni della sua storia, riportata  a una secolare smania di dominio, appaiono  un po'  ridondanti; mentre le descrizioni del suo patrimonio monumentale e artistico sono spesso messe in confronto con i molti modelli dalle relazioni di viaggio dal Grand Tour a Madame Gervasais dei Goncourt;  invece le inquadrature della sua travagliata attualità amalgamano l’osservazione diretta con fonti disparate costituendo  il centro pulsante del racconto.


L’aspetto che MI HA COLPITO  in questo ROMANZO (ANALIZZATO  QUALE TESTO DI ESAME PER LETTERATURA FRANCESE COL PROF MACCHIA) risiede nel modo con cui Pierre scopre ed osserva in che stato si trova la Roma della fine dell’Ottocento, che lui visita ed esplora.
Mentre PRESO DALLA  malinconia contempla le rovine della Roma classica, sepolte dalla  polvere dei millenni, Pierre coglie una somiglianza tra la sua città, Parigi, e la Roma che visita come  giovane intellettuale. Infatti visitando i nuovi quartieri di Prati, incompleti e costruiti in previsione dell’arrivo di nuovi cittadini, scopre che il popolovive a Roma in quel periodo  in condizioni di miseria e abbandono.
Lucidamente comprende che, mentre l’aristocrazia romana nera e bianca è avviata verso un declino ineluttabile, nell'Italia della fine dell’Ottocento non è ancora nata una borghesia illuminata, in grado di promuovere lo sviluppo dell'industria e del commercio.
Nei lunghi capitoli in cui Zolaaffronta il tema della questione sociale nella Francia ed Italia dell’Ottocento, segue una tendenza letteraria che è comune a tutta la poetica naturalistica, rivolta a rappresentare la situazione  economica e politica del tempo, in modo che sia fedele al vero ed alla realtà oggettiva.
Incontrando un patriota risorgimentale di FAMIGLIA nobile,  il nobile Orlando paralizzato su di una sedia e che abita in una casa in via XX Settembre, Pierre comprende la delusione dei patrioti che avevano lottato per arrivare all'unità nazionale e restituire Roma agli italiani, facendola diventare la capitale della nazione. Orlando gli confessa , preso dal  disincanto,  che dovrà trascorrere molto tempo prima che l’Italia possa divenire un Paese moderno ed Europeo.
ZOLA  RITRATTO DA MANET
In questa parte del ROMANZO colpisce la lucidità intellettuale di Zola con cui sono  indicate le cause storiche che spiegano sia che cosa sia stato il Risorgimento sia i motivi dell'arretratezza del nostro paese rispetto a quelli europei. 
Nella parte finale Pierre, dopo  sofferenze e delusioni, riuscirà ad avere l’incontro desiderato con il Papa, il quale lo convincerà a ritirare il suo libro.
Una volta uscito dal Vaticano,  volgendo lo sguardo al cielo nella notte tenebrosa, sopraffatto dal dolore, Pierre, che invano dinanzi al Papa aveva sostenuto la sua idea di una nuova religione, si chiede dove si sia nascosto Dio, che lui ha invocato invano, perché sulla terra regni la giustizia e trionfi il bene. 
L’amarezza irredimibile del quadro tracciato è confermata in chiavi opposte dal doppio finale: quello della storia di Pierre, la cui buonafede rimane  annientata da intrighi vaticani di routine, e quello a tinte forti della storia amorosa, casualmente inglobata in un fosco intrigo vaticano. 
Infine , il romanzo mette in risalto   la  pervicacia ma anche l’inabilità a fronteggiare il  nuovo stato di cose...come é sempre accaduti nella storie italiane
NEL SITOSOLO DE LIBROS, UNA INTERESSANTE ANALISI DEL ROMANZO
"Leggendo Roma SI HA L'OCCASIONE DI godere delle descrizioni  dei monumenti e la storia della città dei  Cesari di Roma capitale dell'Italia unita. Ma soprattutto, si tratta di un ottimo modo per scoprire l'origine della società moderna e i passi fatti  per raggiungere quegli obiettivi."


"Pierre sentit des larmes lui monter aux yeux, et d’un geste inconscient, sans s’apercevoir qu’il étonnait les maigres Anglais et les Allemands trapus, défilant sur la terrasse, il ouvrit les bras, il les tendit vers la Rome réelle, baignée d’un si beau soleil, qui s’étendait à ses pieds. Serait-elle douce à son rêve ? Allait-il comme il l’avait dit, trouver chez elle le remède à nos impatiences et à nos inquiétudes ? Le catholicisme pouvait-il se renouveler, revenir à l’esprit du christianisme primitif, être la religion de la démocratie, la foi que le monde moderne bouleversé, en danger de mort, attend pour s’apaiser et vivre ?" Cap. 22, p. 50

VENERDI' DEL LIBRO 5 SETTEMBRE...MAROSIA CASTALDI

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OGNI VENERDI' UN APPUNTAMENTO CON AMICHE CHE NEL WEB SI INCONTRANO IN UN SALOTTO MOLTO PARTICOLARE




Ho "incontrato""La fame delle donne" di Marosia Castaldi  imbattendomi nel Blog  Inkistolio: Storie Orticanti.


MAROSIA CASTALDI
LA FAME DELLE DONNE

Manni, 2012.
 
Ma già avevo letto su Affari Italiani che anche "La fame delle donne" di Marosia Castaldi, poteva essere candidato al Premio Strega per il 2012, come  scriveva Antonio Prudenzano:"E' tempo di possibili candidature al premio Strega ...A quelle già note si aggiunge, a quanto risulta ad Affaritaliani.it, anche quella de "La fame delle donne" di Marosia Castaldi, un testo pubblicato da Manni.
Ecco allora che mi sono  recata presso la Bibloteca che frequento con assiduità ed ho preso in prestito temporaneo questo libro che veramente, avendo letto delle entusiastiche critiche, mi aveva incuriosito.
E' stata una lettura che mi ha impegnata per UN BEL PERIODO IN PRIMAVERA: ne leggevo delle pagine, la tralasciavo per riflettere e ri-trovare poi il piacere di provare sensazioni ed emozioni.
Intrecci di vite e di sapori, musicalità scandita  anche dalla ripetizione di frasi-chiave, una lunga preghiera questo che è stato definito "romanzo-non romanzo".
Insomma "un libro «resistente»,  un libro coraggioso che non veste gli abiti facili della riconoscibilità  dei generi, delle copertine, o dei titoli, un libro sul cibo e sulla cucina, come fonti inesauribili di riflessione"secondo BENEDETTA CENTOVALLI
...che scrive:"

Marosia Castaldi ha il coraggio di parlare di cibo, di cucina, di ricette, di corpo femminile, di amori tra donne, senza cadere mai nello stereotipo, senza rassicurarci, protetta dallo scudo di una scrittura potente e evocativa. La torrenzialità  della sua prosa trova in questo racconto una sorta di messa a registro favorita dalla misura più breve del testo. Alla punteggiatura si sostituisce la maiuscola a indicare il cambio della frase, e la forte musicalità  da poemetto in prosa, la ripetizione con varianti delle frasi-chiave o leit-motiv, accompagnano il lettore in questa avventura che si apre a una possibile discorsività . È un mare scritto di sogni e di visioni, appunto, che si muove, che ondeggia e si increspa, che segue il respiro tumultuoso della narrazione.


 Nel romanzo credo che colpisca prima di tutto l'abbondanza del cibo e la sua preparazione, con moltissime  ricette che rappresentano una  disseminazione-contaminazione, una vera scheletratura  del racconto.
La protagonista, Rosa, una donna rimasta sola con la figlia dopo la morte del marito, riscopre il talento delle mani della madre e comincia a cucinare piatti della sua città  d'origine, Napoli, e altri piatti regionali, con un piacere crescente di sapori e di ingredienti poveri che fanno parte della cultura e della secolare sapienza del Mediterraneo. 
«Mia madre me li trasmetteva e quando eravamo bambini gli odori della cucina si levavano nella vecchia casa come impronte indelebili del passato»,  promessa in terra di «un briciolo di eternità ». 
 Non a caso, già  dalle prime pagine l'autrice dichiara un debito importante, quello con Casalinghitudine di Clara Sereni.
E' lei che racconta e si racconta:  dalla passione per la preparazione di invitanti ricette, alle incursioni nel periodo dell'infanzia e  successive fasi della vita, fino all'analisi del rapporto conflittuale ma intenso con la figlia e le sollecitazioni che le arrivano dall'incontro con tante altre donne  nel ristorante che ha aperto nella bassa Padana. Un'altra protagonista è sicuramente la "napoletanità" che si respira nel racconto. Un modo di stare al mondo che l'autrice conosce e che fa parte del suo DNA, uno stile che contraddistingue una storia molto forte e che prende a morsi le vite delle protagoniste, come fa Rosa. Il tormento che la accompagna da sempre trova la sua àncora di salvezza nelle sue molteplici passioni anche se alla noia si contrappone la ricerca del piacere, culinario o sessuale. Nelle "grandi mangiate" che si consumano nel suo ristorante, Rosa offe attimi di  convivialità agli avventori, grazie alla  tradizione millenaria che emana dalla sua cucina, e da loro invece prende la sua sopravvivenza, soprattutto dalle donne.

 «Come due compagni di strada – Lettore – sostiamo insieme in ciò che non finisce perché la vita come la morte non hanno porte e nemmeno finestre e nemmeno un fine e nemmeno un inizio. Si  muovono insieme in uno spazio tempo dove tutto ruota e si ripete secondola legge del caos e della ripetizione universale».

Straordinaria capacità di scrittura che sembra accomunare  la prosa alla poesia, gestione di rara maestria di strumenti retorici.  In questo romanzo la protagonista vuole rivelarsi a se stessa cercando una identità tutta coinvolta nella descrizione e nella preparazione di ricette culinarie mai esauribili: l’elenco degli ingredienti diviene una sorta di travaso infinito delle materie, dei gusti, delle fantasie cuciniere che infine finiscono in peccati di gola, in piaceri corporali, ma non si arrendono, si riprendono, si rimpastano, si mescolano in grandi abbuffate, invase e invadenti fra peccati di gola erotici e lussuriosi

 

"Pastiera dei ricchi e pastiera dei poveri

"Si stende la pasta frolla ricca di burro dentro una teglia Si imbottisce con ricotta lavorata con zucchero fuso germe di grano canditi e frammenti di cioccolato amaro ed essenza di fiori d'arancio. Si mette in forno ricamata con sottili  listelle di pasta frolla fino a che si dora La pastiera povera è fatta di pasta di pane imbottita con ricotta zucchero e canditi.
Il condimento dei poveri è lo strutto"
Polenta

"Compra la farina gialla di mais che avrei fatta mantecando la farina gialla con ricotta acqua brodo burro o poco sale e besciamella per renderla più setosa e vellutata"




Crocchè                     

"Si prendono fette di pane raffermo appena bagnate nel latte si passano nell'uovo sbattuto Si chiude tra due fette di pane la mozzarella Il panino così ottenuto si ripassa nell'uovo battuto nella farina e nel pangrattato Si frigge in olio bollente fino alla doratura Poi si mantecano le patate vecchie con latte burro uova e parmigiano fino ad ottenere un impasto denso e compatto che si modella in formelle tonde e oblunghe che si imbottiscono di uovo prosciutto piselli formaggio e mozzarella di bufala o fior di latte Si friggono a fuoco alto dopo averle ripassate nell'uovo battuto e nella farina e nel pangrattato badando che non si aprano in cottura"
 

Una storia molto carnale condita di "napoletanità". Un rito famelico per scacciare la paura del nulla.

QUI UNA RECENSIONE SINTETICA ED EFFICACE


...STRALCIO

"Un grandioso e solenne inno. Inno alle donne, inno alla vita. Inno a Dio. Inno a tutti gli uomini vissuti e che vivranno. Sulla terra e sul mare, nelle pianure, lungo i fiumi, nelle campagne.Nelle case. Tra nebbie e brume, tra visioni possenti del mare di Napoli e della costa azzurra. Inno al cibo, di cui la protagonista è ancella e sapiente custode. Inno alla cucina, nutrimento ed appagamento di corpo e anima e mente. Questa torrenziale narrazione canta della fame , della bramosia, dei desideri e della lussuria. Inno di purezza, inno di saggezza. Nel suo ristorante, Rosa, celebra un rito antico di condivisione, di cultura, di storie antiche, di sapienze millenarie. Il racconto ci disvela una passione umana che travalica le storie per aprirci, con grazia, la Storia.  Scritto come una salmodia, a volte gridata, altre solo sussurrata, ci affascina e ci prende per l'anima ed anche per il corpo: pagine e pagine di preparazioni culinarie, dalle più semplici alle più elaborate e complicate. Leggetelo: è obbligatorio. Amerete di più quello che mangiate e capirete qualcosa di più di queste sante donne. Leggendo le ultime pagine ho pianto."



Giro d'Italia Letterario un appuntamento da non perdere, Buzzati e la sua favola per grandi e piccini...LA FAMOSA INVASIONE DEGLI ORSI IN SICILIA

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TRA LE  PERIODICHE INIZIATIVE CHE CONDIVIDO IN RETE NEL BLOG "IL MIO MONDO DELLA LETTURA", UNO DEGLI APPUNTAMENTI A CUI NON MANCO E'

Non ci si crede: più di un incontro culturale al mese,  un luogo virtuale dove scambiare contributi su libri scelti dagli aderenti, e il Giro ci vede radunati ad ogni tappa QUI NELLA PAGINA UN BAULE PIENO DI LIBRI  ED IN QUELLA  DELL'OMONIMO GRUPPO SU  FACEBOOK... gruppo di lettura che si snoda lungo le regioni del nostro Paese. ..individuare libri (che si decideranno tramite votazione democratica) ambientati nella regione che sarà oggetto di trattazione.

PER QUESTO SCORCIO DI SETTEMBRE SIAMO CON BUZZATI IN SICILIA E 
 "LA FAMOSA INVASIONE DEGLI ORSI IN SICILIA"

 Come molte volte succede  nelle favole anche in questa, bellissima, -  1945 -  ci appare un mondo tutto al contrario: gli animali sono protagonisti rispetto agli uomini e i ruoli si invertono. Gli animali governano gli uomini e  sarebbero anche migliori, ma come sempre gli uomini producono danni e corromperanno anche i semplici e buoni animali,  gli orsi che con loro si erano pacificamente predisposti a convivere.
Ambientato in una Sicilia fuori dal tempo, luogo  creato dalla fantasia di Buzzati, La famosa invasione degli orsi in Siciliaè un racconto sull’impossibilità della convivenza tra gli uomini e gli animali (e quindi anche tra gli uomini?), i quali prenderanno saggiamente le distanze dagli uomini, a testimonianza del pessimismo di Buzzati sulla natura umana.

 Storia, disegno, favola,  tre parole che troviamo nel libro  “più citato che letto”. E' un apologo dettato nei tempi cupi della Guerra , sulla conquista del potere, ma sopratutto sulla rinuncia al potere, e sulla ricerca di una felicità  che può  essere ritrovata, quando l’abbiamo perduta, solo nel ritorno a un vagheggiato, e certamente utopico, stato di natura.
Nei tempi dei tempi, quando la Sicilia era una regione dalle montagne nevose e impervie, gli orsi scendono a valle per cercare Tonio, l’orsacchiotto figlio di Re Leonzio, rapito dai cacciatori. Il principe orsacchiotto verrà ritrovato dopo tante peripezie ma la vita nelle città corromperà il modo naturale di vivere degli animali che prenderanno i vizi  e le debolezze degli uomini.

Prima di morire re Leonzio rivolgerà ai suoi orsi l’ultimo disperato appello: “Tornate alle montagne… lasciate questa città dove avete trovato ricchezza, ma non la pace dell’animo. Toglietevi di dosso quei ridicoli vestiti. Buttate via l’oro. Gettate i cannoni, i fucili e tutte le altre diavolerie che gli uomini vi hanno insegnato. Tornate quelli che eravate prima. Come si viveva felici in quelle erme spelonche aperte ai venti, altro che in questi malinconici palazzi pieni di scarafaggi e di polvere! I funghi delle foreste e il miele selvatico vi parranno ancora il cibo più squisito. Oh bevete ancora l’acqua pura delle sorgenti, non il vino che vi rovina la salute. Sarà triste staccarvi da tante belle cose, lo so, ma dopo vi sentirete più contenti, e diventerete anche più belli. Siamo ingrassati, amici miei, ecco la verità, abbiamo messo su pancia”.

 
 L'autore ci conduce nel mondo della fiaba, parlata, scritta, disegnata. Nelle sue pagine l’apologo degli Orsi è  pittura popolare, affresco di una civiltà lontana, ormai irraggiungibile, dove i fantasmi e le storie della tradizione, dal Gatto Mammone, al Serpenton dei Mari, dal Veglio della Montagna ai cinghiali volanti molfettani, trovano il loro spazio e sistemazione quasi naturali.
 

Gli orsi, spinti dal freddo e dalla fame, scendono verso la pianura 
e impegnano battaglia con l'agguerrito esercito del Granduca 
accorso per respingerli. Ma il coraggio intrepido dell'orso Babbone 
mette in fuga i soldati del Granduca.
 I  cinghiali da guerra del sire di Molfetta attaccano improvvisamente  gli orsi 
ma l'astrologo De Ambrosiis con un incantesimo, li trasforma
in palloni aerostatici, cullati dolcemente dalle brezze. 
Da cui la nota leggenda dei cinghiali volanti di Molfetta.

Conquistata dunque la Sicilia, sfilano nella grande piazza le prodi schiere  degli orsi. Può assistervi anche l'orsetto Tonio, principino, salvato  per l'intervento del mago ma ancora un po' debole per via del sangue versato: in lettiga.
Ma Re Leonzio, essendo stata rubata al prof. De Ambrosiis la bacchetta magica, raduna  la cittadinanza, spinge il colpevole a restituire il prezioso  oggetto e minaccia  pene severissime.

 A bordo di un navicello Re Leonzio si avventura contro il terribile  Serpenton dei mari che minaccia la città. E lo uccide con un colpo di fiocina. Ma la perfidia di Salnitro  getta il popolo giubilante nel lutto e nella tragedia.


 MISSION 

Re Leonzio, prima di morire, farà in tempo a dettare al figlio e ai suoi orsi più fedeli la sua ultima volontà: che lascino la valle e tornino fra le montagne, lontano dagli uomini, là dove gli orsi hanno sempre vissuto in pace e felici: 

Buttate via l’oro. Gettate i cannoni, i fucili e tutte le altre diavolerie che gli uomini vi hanno insegnato. Tornate quelli che eravate prima. Come si viveva felici in quelle erme spelonche aperte ai venti, altro che in questi malinconici palazzi pieni di scarafaggi e di polvere!

 E gli uomini saluteranno tra lamenti e singhiozzi la partenza degli orsi specchio di un modo di vivere che non sanno fare proprio.

IL PROTAGONISTA

Prima di iniziare il suo racconto, Buzzati ne elenca i personaggi, alla maniera degli autori di libri gialli:  alcuni sono effettivamente dei protagonisti, altri compaiono per una sola riga (un gufo che lancia il suo urlo nella notte) o addirittura mai (il Lupo Mannaro, che nessuno sa cosa possa combinare). In testa a tutti dovrebbe venire dunque Re Leonzio: ma se vogliamo cercare il tipo più straordinario, questi è certamente una curiosa figura di mago, il professore De Ambrosiis, la cui bacchetta magica può compiere soltanto due prodigi. Quest'uomo altissimo e magro, la cui figura è prolungata da un'enorme tuba, tradisce spesso il re e vorrebbe fare i due incantesimi a suo esclusivo vantaggio: ma una volta per salvarsi da un branco di cinghiali, che ha trasformato in palloni, un'altra volta per salvare generosamente il figlio di Leonzio, il professore esaurisce la sua scorta di miracoli. Da ultimo riesce a costruirsi una nuova bacchetta magica: e chissà che un giorno, se gli capita una malattia, non la possa usare.

Buzzati è un narratore diverso da tutti gli altri. Riassumere la sua prosa vorrebbe dire snaturarla, togliendone l'incantevole semplicità. Dovendo quindi estrarre una pagina della storia degli orsi, la scelta più sensata è  trascriverla.
Ecco, a  metà del libro quando Re Leonzio, ha appena ritrovato il figlio, teme di perderlo subito. Infatti il malvagio Granduca ha sparato al suo prigioniero, provocandogli una ferita che ha tutta l'aria di essere mortale. Che fare? Arriva nel salone del castello la colomba della bontà e della pace, ma tutti la guardano male perchè è capitata proprio nel momento sbagliato. Non resta così  che rivolgersi al professore De Ambrosiis, egli  dispone di un solo incantesimo. Lo sacrificherà per salvare la vita del giovane orso? 

....la parola a Buzzati...

"Adesso voi naturalmente non ci crederete, direte che sono storie, che queste cose succedono soltanto nei libri e così via. Eppure alla vista dell'orsacchiotto morente, l'astrologo sentì un improvviso dispiacere per tutte le canagliate commesse in odio a Re Leonzio e ai suoi orsi (gli spiriti, il Gatto Mammone), ebbe l'impressione che qualcosa gli bruciasse nel petto e, forse anche per il gusto di fare bella figura e di diventare una specie di eroe, trasse di sotto la palandrana la sua famosa bacchetta magica - ma come gli dispiaceva - e cominciò l'incantesimo, l'ultimo della sua vita. Poteva procurarsi montagne d'oro e castelli, diventare re e imperatore, sconfiggere eserciti e flotte, sposare principesse indiane: tutto avrebbe potuto avere con quell'estremo sacrificio. E invece "Fàrete", disse lentamente, e scandiva le sillabe, "Fàrete finkete gamorrè àbile fàbile dominè brùn stin màiela prit furu toro fifferit".


"Allora l'orsacchiotto riaprì tutti e due gli occhi e si levò diritto senza più traccia del buco fatto dalla pallottola (solo si sentiva un poco debole per la perdita del sangue), mentre Re Leonzio, come impazzito dalla gioia, si metteva a ballare da solo sul palcoscenico. E la colomba, finalmente soddisfatta, ricominciava a svolazzare di qua e di là più allegra che mai. Altissimo si levò il grido: "Evviva il professore De Ambrosiis!".
"Ma già l'astrologo era sparito. Sgusciato fuori dalla porticina del palco, correva a casa stringendo la bacchetta ormai inutile, e non avrebbe saputo lui stesso dire se malinconico o stranamente felice"
.


Il lungo racconto ambientato in Sicilia,  nasconde tra le righe la vera poetica dell'autore. E'  un romanzo sul coraggio, sull'’amicizia e la generosità, sulla necessità di essere se stessi e fare del proprio meglio, comunque vadano le cose, ma anche sulle debolezze umane e sulle fragilità che stanno dietro anche ai più nobili sentimenti 
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